Uno scampato pericolo, un futuro da costruire e un grosso ostacolo sul cammino: attorno a questi tre elementi si gioca la sopravvivenza del suino di razza Sarda. Il pericolo – si spera davvero scampato – e quello della scomparsa della razza stessa, cui si e andati vicini negli ultimi anni, quando molti produttori l’hanno abbandonata. L’ostacolo e invece rappresentato, come e facile immaginare, dalla presenza, sull’isola, della Peste suina africana, con il conseguente divieto di esportazione di carni e insaccati fuori dalla Sardegna «Un divieto ormai anacronistico, dal momento che i casi di infezione sono praticamente scomparsi da anni. Speriamo quindi che entro breve si possa tornare a esportare: quello e il principale freno allo sviluppo dell’allevamento e, di conseguenza, alla salvaguardia di questa bella razza italiana». Chi parla è Luciano Nieddu, allevatore convenzionale di Berchidda (Sa) che da circa un anno ha avviato una linea parallela per la razza Sarda, raggiungendo una cinquantina di scrofe. Cifra che lo mette – e questo dice molto sulla situazione dell’isola – ai primi posti per numero di capi. «Produciamo circa duemila suini l’anno. Teniamo quasi tutte le femmine, perché abbiamo intenzione di ingrandirci, e vendiamo una parte dei verri come animali da riproduzione, mentre altri li alleviamo per un test che stiamo conducendo in collaborazione con l’università di Sassari.
Infine, una piccola quota di maschi e venduta per la macellazione. Pur avendo numeri molto ridotti, sono uno dei più grandi produttori di razza Sarda dell’isola, perché la maggior parte degli altri allevamenti si ferma a 20 scrofe o poco più. C’e, insomma, molto da lavorare se vogliamo salvare questa razza dall’estinzione». E questo è, naturalmente, il futuro da costruire cui facevamo accenno in precedenza.
Valorizzare la tipicità
«Lavoro nella suinicoltura da quando avevo 19 anni. Prima come dipendente e da una decina di anni come imprenditore». Oggi Nieddu ha un allevamento da 120 scrofe, allo stato semibrado, gestito interamente da lui solo. A fianco di esso, poco più di un anno fa ha attivato una linea per la razza Sarda. «L’ho fatto perché sono convinto che se vogliamo valorizzare i prodotti della nostra terra dobbiamo usare un suino tipico sardo e visto che in Sardegna abbiamo una razza antichissima e locale, mi sono detto: perché no? Del resto, con le linee tradizionali si lavora, ma non si va più di tanto lontani. Sappiamo bene quali giochi speculativi girino attorno ai suini, a livello internazionale. Impossibile sperare di evitarli. Con una razza che sia soltanto nostra, invece, le cose cambiano, si esce da quel circuito. Tuttavia, questo suino deve però essere remunerativo; in altre parole deve essere pagato in base alla qualità che offre e ai limiti che presenta».
Limiti che riguardano, spiega ancora Nieddu, principalmente la prolificità: «Rispetto a un suino di razza moderna, la scrofa sarda fa meno suinetti. Mediamente siamo tra 7 e 8 nati, io credo soprattutto a causa dell’inseminazione naturale. Il verro, infatti, anticipa la fecondazione, mentre con un’inseminazione artificiale si potrebbe salire tranquillamente a una media di dieci nati per parto».
Razza antica, metodo moderno
Nieddu non è insomma un estremista della tradizione. Ritiene anzi che sia possibile conciliare l’impiego di una genetica la cui origine si perde nei millenni con metodi di allevamento che tengano conto del progresso scientifico. «Io, per esempio, sarei favorevole all’inseminazione artificiale, anche se il disciplinare non la prevede, per i motivi sopra detti. Alcune ricerche effettuate in passato hanno concluso che questa razza ha problemi di prolificità e scarso sviluppo della carcassa, ma a mio parere questi studi non sono stati condotti correttamente. Per esempio, non si e usata un’alimentazione paragonabile a quella delle razze moderne. È evidente che se alimento un animale,
indipendentemente dalla razza, con fieno e orzo avrò uno sviluppo muscolare inferiore a un capo allevato con il giusto apporto di proteine, vitamine e grassi. È importante, a mio parere, usare i giusti canoni alimentari; ci sarà tempo poi, negli ultimi due mesi di vita, per il finissaggio con orzo e farine».
Questa e dunque la scommessa di Nieddu: applicare la moderna tecnica a una razza antica. I risultati, da quanto ci dice, lo stanno premiando. «I nostri animali crescono, come si dice, en plain air, in recinti da un ettaro ciascuno. Al momento abbiamo tre recinti, ma contiamo di aumentare la dimensione. Purtroppo, sempre per una legge legata alla Peste suina, non possiamo andare oltre i 10 ha di superficie, a meno di non creare una seconda azienda con un diverso codice. Un altro anacronismo che spero possa presto essere eliminato, al pari del divieto di esportazione dall’isola».
Un’alimentazione semplice
Per i suoi suini, come si diceva, Nieddu usa un’alimentazione moderna. «Sul terreno gli animali trovano fieno e poco altro. Noi forniamo proteine, vitamine e minerali con un mangime composto. Circa 2 kg per capo, mentre alle scrofe in allattamento diamo 5 kg. Di più non ne serve, sono animali che mangiano poco e ciò nonostante hanno un buon accrescimento: fino a 750 grammi al giorno per i maschi, qualcosa meno per le scrofette. Risultati ottenuti con la vita all’aperto, che porta a bruciare moltissime calorie».
L’accrescimento di questi animali, continua Nieddu, si interrompe attorno ai 250 kg, che sono comunque sufficienti per ottenere un animale di un certo rispetto. «In due anni arriviamo a 160 chili, che sono una buona misura per la trasformazione».
La gestione dei gruppi
La gestione dei gruppi è differenziata. «Stiamo testando sia la vita brada, con parti liberi, nelle capannette, sia una formula più controllata, che prevede i parti in gabbia. Quest’ultima dà sicuramente migliori risultati di crescita: i suinetti arrivano allo stesso peso di quelli liberi con oltre una settimana di anticipo. A ogni modo sarei favorevole anche a un allevamento più naturale; l’importante e che il calo di accrescimento ci sia riconosciuto nel prezzo degli animali. Invece so già che, se venderò dei suini, quest’anno, dovrò applicare lo stesso prezzo che ottengo per le linee di Large White e simili e questo non può essere sopportato a lungo. Se le cose non cambiano, gli allevatori abbandoneranno la razza Sarda, determinandone la scomparsa».
Urge l’intervento pubblico
Di fronte a questa situazione, continua l’allevatore sassarese, gli imprenditori devono sicuramente fare la loro parte, ma non possono ottenere il risultato sperato senza un aiuto pubblico. «Due cose chiediamo alla Regione. La prima è un aiuto per l’acquisto dei riproduttori, esattamente come avviene per altri tipi di animali. Se acquisto un toro da riproduzione mi rimborsano oltre il 50% della spesa e lo stesso vale per gli arieti. Perché non accade per i suini di una razza autoctona come la Sarda? In secondo luogo, avremmo bisogno di aiuto per far partire una certificazione d’origine, che sia Dop o Igp. Qualcosa, insomma, che garantisca la provenienza dei salumi e aiuti a farne una corretta promozione. Ma prima di tutto questo, ovviamente, e necessario che finisca il blocco all’esportazione sul continente, che e in vigore dal 1978, fatta salvo una breve parentesi conclusasi nel 2011».
Con questi interventi, secondo Nieddu, sarebbe possibile dare impulso all’allevamento di suini autoctoni. «Non ho certezze, ma guardo a quanto sta accadendo nelle altre regioni italiane in cui esistono varietà di suini tipici. Penso al Nero dei Nebrodi, per esempio, ma anche ad altri come l’Apulo calabrese o simili. Ovunque i loro prodotti sono richiesti dal mercato e chi li alleva ottiene un giusto compenso per i propri sforzi. Accadrebbe anche da noi se potessimo esportare carni e salumi e far conoscere la qualità dei nostri suini».
Scommessa sul futuro
Il suino sardo e molto apprezzato, conclude l’allevatore, e potrebbe rappresentare una buona fonte di reddito per gli allevamenti dell’isola, come ricorda anche un documento messo a punto dall’Agenzia regionale per lo sviluppo in agricoltura. «Siamo agli inizi di un percorso, c’è tutta una filiera da creare. Siamo in pochi e con tanto lavoro da fare, ma stiamo lavorando per il futuro, convinti che quando i mercati si apriranno, ci saranno ampi spazi per i nostri prodotti. è una scommessa, al momento, ma da essa dipende il futuro di questa razza».
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