Visini allevatore dell’anno, premiato il Metodo Piggly

L’ambito riconoscimento va alla società Birla di Pegognaga (Mn), che alleva suini a elevato benessere e senza antibiotici. La sua impronta di carbonio, pari a un quinto del normale, dimostra che è possibile fare suinicoltura intensiva in modo sostenibile

Non è mai facile assegnare un premio come quello di Suinicoltore dell’anno. Per il 2022, tuttavia, la valutazione è stata più semplice del solito e, in un certo senso, quasi naturale. Di fronte ai numeri messi in campo da Sergio Visini, presidente e amministratore della Birla, meglio nota come Piggly, la scelta era quasi obbligata. E così, il titolo di Suinicoltore dell’anno si va ad aggiungere alla già lunga lista di riconoscimenti che quest’azienda, nata meno di 15 anni fa, ha saputo collezionare in pochissimo tempo: Premio nazionale per l’Innovazione da Confagricoltura, titolare della prima analisi dell’Impronta di carbonio realizzata su un allevamento di suini italiano, citata a Bruxelles come prova concreta della possibilità di fare suinicoltura intensiva in modo sostenibile, invitata innumerevoli volte a convegni e simposi. Per tutti questi motivi Piggly, che contrariamente a molti colleghi si apre al mondo, anziché chiudersi, è meta di visite continue da parte di allevatori, salumifici, autorità locali e regionali. Tutti a cercare di capire i segreti di quello che è ormai chiamato Metodo Piggly.

Qualità e filiera
Cominciamo da qualche numero; il minimo indispensabile, in quanto questa realtà fu già protagonista di un reportage su Suinicoltura del maggio scorso. Visini è a capo della Birla, società che prende il nome dalla via in cui sorge la sede e possiede attualmente due siti: la porcilaia di Grezzana (Vr), con 800 scrofe, e lo svezzamento più ingrasso di Pegognaga (Mn), da 13mila posti. Ai più, tuttavia, l’azienda è nota come Piggly, che a livello giuridico è un marchio di proprietà di Birla. «Piggly ormai è diventato un metodo di allevamento. È anche un marchio, sotto cui potranno stare, in futuro, diverse società», spiega Visini. Laureato in Economia, un passato da allevatore di bovini prima e da consulente poi, è lui l’artefice di questo successo. «Non posso dire di aver programmato a tavolino tutto questo: di certo, quando avviammo l’attività nel 2009, avevamo in testa alcuni obiettivi inderogabili, ovvero fare filiera e lavorare nel segmento dell’alta qualità. Tutto quello che ne è scaturito, è stata una conseguenza».

Dal vino ai suini
L’allevamento di suini, ci spiega, nacque su insistenza di alcuni conoscenti. «Dopo essermi separato da mio fratello nel 2007, feci per alcuni anni consulenza sui sistemi agroalimentari, familiarizzando, tra l’altro, con concetti come la filiera e la sostenibilità ambientale. Inoltre, essendo bresciano, avevo davanti l’esempio della Franciacorta e del suo marketing di successo nell’enogastronomia di alta gamma. Perciò, quando alcuni conoscenti mi spinsero a investire nel settore suinicolo, avevo chiaro in testa cosa avrei voluto fare: applicare ciò che avevo visto funzionare in altri settori, per rendere più redditizia e più sostenibile la suinicoltura intensiva». Il secondo passaggio cruciale avviene quattro anni dopo, quando Visini conosce il salumificio Principe di San Daniele, una realtà friulana con un forte orientamento all’export e un cliente importante: la Whole Foods Market, società texana specializzata in prodotti di alta gamma a basso impatto ambientale. «Dal Principe mi venne, chiaro, l’impulso a puntare su un allevamento senza antibiotici. A quel punto avevo un cliente importante, disposto a riconoscere un prezzo remunerativo per i nostri sforzi, e un buon cash flow dovuto all’impianto fotovoltaico realizzato sui tetti di Pegognaga. Fu naturale impegnarci in quella nuova avventura, sempre tenendo ben ferma la barra su quello che è un po’ il mio motto: la semplicità funzionale. Le cose, per funzionare, devono essere semplici, altrimenti è meglio lasciar perdere».

Svezzamento e ingrasso a Pegognaga (Mn), in un sito completamente rifatto e con i tetti ricoperti di pannelli fotovoltaici
I suini Piggly non conoscono antibiotici durante tutta la loro vita

Impronta irrisoria
I suini allevati a Pegognaga non ricevono antibiotici e hanno standard di benessere sconosciuti alla maggior parte degli allevamenti italiani. Parallelamente, sia la progettazione dei capannoni sia l’ampio ricorso alle energie rinnovabili aumentano fortemente la sostenibilità ambientale dell’azienda. Lo testimoniano i numeri: nel 2021, l’intero processo è stato sottoposto a un’analisi dell’impronta carbonica - «La prima per un allevamento italiano, da quanto mi risulti» – e i risultati sono stati superiori alle aspettative, già rosee, del titolare. «È emerso che abbiamo un’emissione di gas clima-alteranti pari a 1,06 kg di CO2 equivalente per kg di peso vivo, quando la media stimata, per il suino pesante italiano, è attorno a 5 kg». Per la precisione, secondo lo studio condotto dal Crpa di Reggio Emilia, il valore medio per la suinicoltura italiana va da 3,2 a 5,3 kg, mentre gli allevamenti europei, che macellano gli animali a 110 kg di peso vivo, si attestano sui 2,3-3,4 kg di CO2 equivalente. Piggly, insomma, fa meglio anche dei colleghi europei che interrompono il finissaggio con diversi mesi di anticipo.

Secondo tale studio, il maggior impatto deriva dall’alimentazione, mentre fotovoltaico e soprattutto biogas danno un aiuto risolutivo per abbassare le emissioni. Senza il ricorso alle rinnovabili, ha stimato il Crpa, la società di Visini avrebbe un’impronta di poco superiore ai 5 kg di anidride carbonica per chilo di peso vivo. «Questo ci spinge a migliorare la sostenibilità dell’alimentazione, per arrivare a un’impronta vicina allo zero. Un risultato che, a mio avviso, è alla nostra portata».

Un sistema replicabile
Al di là degli indubbi benefici ambientali e produttivi – la qualità degli animali è riconosciuta come superiore alla media, probabilmente anche in virtù delle condizioni ambientali in cui vivono – il sistema di Visini ha il grande merito di essere replicabile. Non si tratta infatti di un unicum, ottenuto grazie a condizioni del tutto particolari e contingenti, come la presenza di grandi spazi aperti o una situazione climatica particolarmente favorevole. «Esattamente. La cosa che mi fa più piacere è aver dimostrato che la suinicoltura intensiva può essere ambientalmente sostenibile, a patto di lavorare in un certo modo». E questo modo, alla luce di quanto esposto sopra, è facilmente desumibile: grande attenzione al benessere animale, condizioni rigorose per la biosicurezza e, infine, trattamento immediato dei reflui più investimenti nelle rinnovabili, come i pannelli fotovoltaici. «La suinicoltura è quasi sempre vista come un’attività fortemente impattante, sia per i cattivi odori che crea, sia per le emissioni in atmosfera. Oggi tuttavia, il consumatore non è più disposto ad accettare tutto ciò: quando acquista un salume si chiede con quanta energia è stato prodotto, in che condizioni hanno vissuto gli animali da cui deriva, quanto danno all’ambiente è stato fatto. Ebbene, noi siamo in grado di certificare che tutti questi parametri sono al top. Anche per questo ci viene riconosciuto un prezzo diverso da quello di mercato e abbiamo una domanda superiore alle nostre potenzialità. Cosa che ci spingerà, presto, ad ampliare la mandria». «Soprattutto - conclude Visini -, la presenza degli allevamenti Piggly non è considerata una minaccia dalla popolazione. I sindaci sono i nostri migliori sponsor, perché hanno visto che non creiamo problemi e anzi, siamo un fiore all’occhiello della gastronomia locale. Questa è la miglior dimostrazione che il nostro sistema è vincente». E che Piggly, com’è avvenuto, merita di essere dichiarato allevamento dell’anno.

Il metodo Piggly
In nove anni, dal 2013 a oggi, Visini crea quello che chiama – e non è il solo a farlo – Metodo Piggly. Vediamolo più nei dettagli.

«Un elemento fondamentale è la scrofaia: l’abbiamo fatta nel Veronese, a 700 metri di quota, alla fine di una strada che non porta da nessuna parte. Non c’è passaggio, non ci sono altri allevamenti nelle vicinanze: la biosicurezza è garantita e allo stesso tempo il clima favorevole ci aiuta a gestire scrofe e suinetti senza l’ausilio di un solo ventilatore. I lattonzoli che escono da Grezzana sono sani e nelle migliori condizioni per crescere senza antibiotici».

La scrofaia è collocata a 700 metri di quota, al termine di una strada senza uscita. Ciò assicura un alto livello di biosicurezza
Il clima dovuto all’altitudine e agli accorgimenti strutturali pone le scrofe nella miglior condizione per partorire lattonzi in buona salute
Anche la scrofaia beneficia di un piccolo impianto per la produzione di energia elettrica

La seconda chiave del successo di Piggly, sostiene il suo ideatore, è nello svezzamento: capannoni grandi, luminosi, con il fondo ricoperto di paglia. «Gli animali stanno bene e hanno tutto lo spazio necessario. Non sono stressati e infatti non abbiamo casi di morsicature della coda».

Spazi superiori ai minimi di legge per ridurre l’aggressività degli animali e il rischio di patologie
Le scrofe trascorrono la gestazione su lettiera di paglia

La paglia, sostituita una volta a settimana, finisce nel biodigestore da 630 kW assieme ai liquami dell’ingrasso. «Mandiamo i reflui al digestore ogni giorno: in questo modo, nei capannoni non c’è ammoniaca e non ci sono nemmeno dispersioni nell’ambiente. Nell’impianto entrano anche i liquami di alcune stalle bovine, cui poi restituiamo il separato secco. Con il digestato, opportunamente trattato, concimiamo tutti i terreni: coltiviamo mais e cereali senza usare un chilo di fertilizzante minerale e questo, naturalmente, migliora ulteriormente la sostenibilità del sistema».

Nel calcolo dell’impronta carbonica un ruolo di primissimo piano è giocato dalle energie rinnovabili, come il biodigestore da 630 kW alimentato principalmente a reflui suini e bovini
Distribuzione digestato con interramento, per evitare cattivi odori e massimizzare i benefici dell’intervento

A dare il tocco finale pensa l’energia prodotta sia dal digestore sia dai pannelli fotovoltaici sistemati sui tetti di Pegognaga (ma un piccolo impianto è presente anche a Grezzana). «In tutto sono due megawatt di energia dai soli pannelli. Uno finisce in autoconsumo. Il resto è immesso nella rete. Con il calore residuo del digestore, invece, scaldiamo l’allevamento, gli uffici e i locali del personale. E ne avanza ancora. Anche perché - continua Visini -, una progettazione attenta e per certi versi rivoluzionaria dei capannoni ha ridotto al minimo il fabbisogno energetico».

«In tutto l’allevamento non c’è un solo ventilatore: il ricambio d’aria è assicurato dalla ventilazione naturale e dal forte effetto camino che si crea nei capannoni grazie a tetti alti fino a 6 metri e con una pendenza del 35%. Un’accorta gestione delle finestre, regolate da sensori di temperatura e presto anche dai sensori di CO2, ci permette di avere un clima gradevole per tutto l’anno, mentre lo scarico quotidiano delle deiezioni mantiene i livelli di ammoniaca a valori insospettabili: arriviamo al massimo a 13 ppm nelle notti d’inverno, mentre in primavera ed estate oscilliamo da valori inferiori a 1 fino a 8 ppm». Assai bassi anche i livelli di anidride carbonica, mai sopra quota 3500 ppm, con concentrazioni ben più basse nella bella stagione e nelle ore diurne.

Capannoni monofalda, con il 35% di pendenza per favorire un miglior ricambio d'aria all'interno
Le finestre sono controllate da termometri, ma presto saranno collegate anche ai sensori di anidride carbonica
Visini allevatore dell’anno, premiato il Metodo Piggly - Ultima modifica: 2022-03-18T17:26:22+01:00 da K4

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