Il settore suinicolo e più in generale quello dell’allevamento, sono sempre più sotto l’occhio attento di un consumatore via via più esigente. Questo è giusto: il consumatore deve poter scegliere di acquistare prodotti di buona qualità, non solo nutrizionale, ma anche realizzati in maniera etica e sostenibile e che rispettino il benessere degli animali. In alcuni Paesi, il sistema di certificazione è abitualmente utilizzato su base volontaria o obbligatoria per garantire al consumatore di trovare in etichetta le caratteristiche ricercate. Tuttavia, anche quando questo accade, non è escluso che la qualità della carne sia sotto le aspettative per motivi a volte ascrivibili a una gestione degli animali non adeguata (carni dure o troppo acquose possono essere causate da problemi durante la fase di allevamento o durante quella di trasporto). Questo pone un bel dilemma: non è possibile controllare quello che accade in una porcilaia quando il certificatore non è presente, ma in questo modo è anche facile tradire la fiducia del consumatore.
Come stanno le cose oggi
La richiesta di carne è in crescita a causa di aumento numerico della popolazione mondiale, ma anche a causa di cambiamenti nelle abitudini di Paesi che hanno migliorato il loro tenore di vita e, quindi, possono economicamente permettersi di acquistare la carne con più frequenza rispetto al passato. Il benessere animale è implicitamente uno dei 17 obiettivi (Sustainable Development Goal, SDG) della crescita sostenibile supportata dall’Onu per il 2030, in particolare l’obiettivo 12 per un Consumo e Produzione Responsabili. Quindi la tematica è quanto mai attuale e coinvolge il mondo intero e non più piccole nicchie di consumatori interessati alla questione di come vengono allevati gli animali. A livello globale sono diversi i problemi di benessere che coinvolgono il suino e vanno dall’utilizzo delle gabbie parto, all’isolamento sociale fino all’utilizzo eccessivo di trattamenti veterinari per risolvere problematiche sanitarie (a esempio, infezioni conseguenti a cannibalismo della coda). È stato riscontrato che la maggior parte delle problematiche si verificano negli allevamenti intensivi al chiuso. Al momento, il benessere dei suini viene valutato utilizzando indicatori che possono essere di tipo comportamentale o patologico, in misura minore, a causa dei costi, si utilizzano indicatori fisiologici. Come però dicevo prima, le valutazioni vengono effettuate una volta ogni tanto e sono quasi sempre riferite al gruppo e non all’individuo, ipotizzando che se la percentuale o proporzione di animali sani non cala, il benessere può essere considerato sufficientemente buono.
L’epigenetica è il futuro?
La tesi di un gruppo di ricercatori brasiliani è molto originale e attuale (Nery da Silva et al., 2022). Perché non fornire al consumatore alcuni parametri molecolari che confermino una modalità di allevamento conforme a determinati standard di benessere? Realtà o fantascienza? Una scienza che studia l’effetto dell’ambiente su fattori intrinseci, in effetti, esiste e si chiama epigenetica. Questo termine è stato coniato da Waddington, un biologo inglese, nel 1942, suggerendo un’interazione di fattori esterni con il genoma, e che questa interazione avrebbe avuto il potenziale di influenzare lo sviluppo degli individui. L’aspetto più interessante dell’epigenetica è che i cambiamenti di divisione cellulare (mitosi e meiosi) ereditabili non possono essere spiegati tramite modifiche della sequenza di DNA. Quindi, si eredita un’impronta molecolare sul genoma che attiva i geni la cui sequenza, però, non cambia. È stato osservato che gli eventi molto stressanti possono a loro volta lasciare un’impronta sul DNA, in particolare con un fenomeno chiamato metilazione che consiste nella formazione di un legame di un gruppo metile con una base azotata. La metilazione è un meccanismo di difesa del genoma e viene messo in atto proprio in momenti di difficoltà. La definizione e il funzionamento dell’epigenetica sono abbastanza complicati, quello che a noi interessa è sapere che, grazie alle impronte lasciate sul DNA, la ricerca sta lavorando all’individuazione di marker di stress cronico dovuto alle condizioni di allevamento, per raggiungere obiettivi simili a quelli ottenuti con i marker tumorali usati comunemente in medicina per trovare precocemente la presenza di un tumore.
Il suino come modello (anche per l’uomo)
Come potrebbe funzionare l’epigenetica nel suino? Gli autori del lavoro ipotizzano che le situazioni stressanti a cui sono esposti i suini in allevamento possano influenzare le cellule somatiche e germinali. Ma non solo. I modelli epigenetici potrebbero essere trasmessi dai genitori alla prole, ma perché ciò avvenga, è necessario che siano presenti in qualche modo nell’epigenoma del ceppo germinale (sperma o ovociti). Pertanto, non solo l’individuo accumula segni epigenetici durante la sua vita, ma eredita anche modelli diversi dai suoi genitori.
Grazie ad una complessa analisi, i ricercatori dell’articolo hanno individuato 28 geni candidati connessi a parametri stressanti, come, ad esempio, lo stress da caldo, il danno intrauterino e alcuni problemi di salute (all’epitelio mammario, all’intestino e all’ippocampo). Per esempio, analizzando il muscolo Longissimus dorsi è possibile individuare delle regioni differenzialmente metilate (DMR, che sono quindi interessate da un processo di metilazione) in importanti geni coinvolti nello sviluppo dei muscoli, del metabolismo, del sistema immunitario e della risposta allo stress, in particolare a quello da caldo. Quindi, per capirci, prelevando materiale genetico dal muscolo possiamo sapere se gli animali hanno sofferto il caldo in maniera eccessiva durante tutto il loro processo di allevamento. Oppure nell’ippocampo sono state trovate DMR in geni associati alla permeabilità della barriera emato-encefalica e all’attivazione delle cellule T regolatorie (che mediano la soppressione della risposta immunitaria) e che sono segnalati come causa di riduzioni dello sviluppo cognitivo.
Siamo pronti?
L’uso dell’epigenetica per certificare il benessere animale è ancora molto prematura. Mancano sufficienti studi per definire con precisione i marker di stress cronico, anche se i risultati ottenuti finora sono molto promettenti e nei prossimi anni possiamo aspettarci delle grandi novità. L’altro problema riguarda complessità e costi delle analisi che sono un limite all’utilizzo di questo approccio in maniera routinaria. In ogni caso, è possibile prevedere uno strumento del futuro che non lascerà più molti dubbi sull’impatto di alcuni eventi stressanti, garantendo al consumatore il massimo della trasparenza.