«La programmazione della produzione porta risultati positivi, ma la filiera è ancora troppo frammentata. Il benessere animale è ormai uno degli aspetti su cui il consumatore è maggiormente sensibile, ammettendo in funzione di questo anche la possibilità di pagare di più il prodotto». Stefano Fanti, direttore del Consorzio del prosciutto di Parma, parla a 360 gradi del comparto, le cui prospettive sono «di mantenere l’attuale quota di mercato in Italia e di continuare la penetrazione nei mercati esteri, esplorando nel contempo anche i mercati terzi emergenti».
Il mercato domestico
«Nel 2017 si è verificata una ripresa molto forte del mercato – sottolinea il direttore - grazie alla ripresa del valore del prodotto in tutti gli anelli della filiera (la coscia fresca si è attestata sui 5 euro/kg), tanto da determinare una crescita del prezzo al consumo. Quest’ultimo dato ha ovviamente provocato un rallentamento delle vendite del 5-6% nel mercato domestico».
Fortunatamente questo calo di vendite sul mercato domestico è stato controbilanciato da una ripresa dell’export, che negli ultimi cinque anni ha vissuto un trend molto positivo, si vedano gli oltre 500mila prosciutti esportati negli ultimi dieci anni.
«La situazione ha avvantaggiato anche gli allevatori – prosegue Fanti -, che si sono trovati un valore molto alto dell’animale, pari a 1,70 euro/kg. Questo ha determinato un aumento del prezzo del suino, della coscia fresca e dello stagionato. Con il conseguente calo dei consumi, si è assistito a ripercussioni sui prezzi di vendita del prodotto stagionato, anche se i risultati si sono mantenuti positivi per tutta la filiera».
Il mercato internazionale
Sui mercati esteri gioca molto la diversificazione geografica, dal momento che il prosciutto di Parma viene esportato in un centinaio di paesi in tutto il mondo. Nel dettaglio, il 60% va in Europa e il 40% in paesi terzi.
«In testa si mantengono gli Stati Uniti – specifica il direttore -, che hanno aumentato le loro importazioni arrivando a un totale di quasi 600mila prosciutti. Qui negli ultimi anni si è investito molto e la strategia ha portato i suoi frutti: gli Stati Uniti hanno infatti addirittura superato la Francia e la Germania che erano i nostri mercati storici».
Di particolare interesse sono l’Australia e il Sud-est asiatico. «Dal 2017 – aggiunge Fanti - abbiamo iniziato a investire in Cina, un mercato complesso, che va pensato a lungo termine e dove serve diffondere ancora molta cultura. Qui le tempistiche si allungano anche per via dei permessi di importazione. Fare cultura in Cina significa anzitutto coinvolgere il mondo della ristorazione. I consumatori sono abituati a consumare la carne di maiale, tenendo comunque conto del fatto che la fetta più ricca della popolazione guarda al modello occidentale con atteggiamento di emulazione».
Per quanto concerne il mercato canadese, Fanti prosegue: «Auspichiamo che con gli accordi Ceta si possa assistere a uno sviluppo ulteriore, dal momento che l’accordo di libero scambio tra Unione europea e il Canada ammette finalmente la coesistenza della denominazione “Prosciutto di Parma” e del marchio “Parma” attualmente detenuto dalla società canadese Maple Leaf (fino a oggi il prodotto era esportato infatti come “The Original Prosciutto/Le Jambon Original”, ndr). In questo modo si completa la zona d’esportazione del nord America».
In Estremo Oriente, Taiwan ha aperto le porte da pochissimo tempo, il Giappone si conferma un mercato importante, in Cina il Consorzio sta portando avanti un programma di valorizzazione insieme al Grana Padano, e Hong Kong sarà una prossima tappa.
«Questa strategia di fare leva sul food non vale solo sui mercati internazionali», riferisce ancora Fanti. «Oggi Parma, città Unesco, sta fondando gran parte del proprio appeal sul cibo. Il sistema turistico enogastronomico è strategico per un territorio che ha molto da spendere in questo senso: dalla musica ai musei, ai percorsi dei castelli. Estesa anche alle città limitrofe di Reggio Emilia e Piacenza, poi, questa attrattività è vincente in tutti i sensi. Di fatto, consapevoli di non essere una città al pari di Roma o di Venezia, comunque vantiamo un legame fortissimo col nostro territorio, che a sua volta ci premia con prodotti unici al mondo».
Programmazione della produzione e filiera
Quando apriamo il capitolo della programmazione della produzione, Fanti precisa: «Dopo alcuni anni di lavoro con le istituzioni europee oggi disponiamo di una base giuridica come per i formaggi a lunga stagionatura. Di conseguenza, dopo l’esperienza del triennio scorso 2015-2017, abbiamo riproposto la programmazione 2018-2020 approvata a inizio anno, che ci permette di trovare un equilibrio tra domanda e offerta e quindi di evitare situazioni di sovrapproduzione e crisi di settore, posto che la produzione cresca coerentemente con il mercato per l’anno a venire».
Nel 2017 è stata prevista una produzione di 9 milioni di prosciutti per il 2018 e la produzione è rimasta tale.
«Una programmazione fatta in questo modo porta vantaggi anche più ampi a tutto l’indotto e nel lungo periodo – commenta Fanti -, perché mantiene un maggiore equilibrio nella filiera e determina una crescita favorevole per tutto il comparto».
Le prospettive del comparto
«La prospettiva dal punto di vista del mercato – conclude Fanti - è quella di mantenere la nostra quota di mercato in Italia e continuare la penetrazione nei mercati esteri e di esplorare i mercati terzi emergenti continuando a presidiarli e organizzarli perché intravediamo in essi un’occasione di crescita. Una delle forze del comparto è la salvaguardia della tipicità della produzione, inclusa la possibilità di essere ancora più restrittivi per un prodotto che garantisce la naturalità e l’assenza di additivi, senza dimenticare l’importanza crescente della sostenibilità ambientale e di conseguenza quella economico-sociale».
La questione del benessere animale
E quando parliamo di filiera, Fanti punta il dito sulla «terribile difficoltà su un tema di grande attenzione da parte del consumatore: il benessere animale. È complicato ottenere da tutta la suinicoltura italiana il livello di benessere animale come richiesto dal consumatore di oggi. E non aiuta di certo la campagna denigratoria sui nostri conferenti che fanno parte della filiera, ovvero gli allevatori, da parte delle associazioni animaliste, le quali spesso e volentieri mettono in evidenza elementi di non rispetto sul benessere animale. Da parte nostra, abbiamo chiesto l’intervento forte dei servizi veterinari per la garanzia del rispetto delle norme comunitarie».
E sulla valorizzazione dei cosiddetti “altri tagli” del suino allevato con i dettami del disciplinare dop, Fanti ricorda di «aver cercato di sostenere la valorizzazione, appoggiando iniziative come l’Sqn o il Gran Suino Padano, che tuttavia non sono decollati. «La frammentazione – commenta - resta il principale male italiano che crea difficoltà nelle filiere di molti settori, come il nostro».
I numeri del Consorzio del prosciutto di Parma
La produzione del prosciutto di Parma:
145: aziende produttrici del prosciutto di Parma
8,15 milioni: prosciutti di Parma marchiati nel 2017
La filiera del prosciutto di Parma:
4.000: allevamenti suinicoli
118: macelli
3.000: addetti alla lavorazione nel settore del prosciutto di Parma
50.000: impiegati nell’intera filiera
Il valore del prosciutto di Parma:
740 milioni di euro: valore alla produzione
275 milioni di euro: fatturato esportazioni
1,7 miliardi di euro: giro d’affari complessivo
Il mercato del pre-affettato:
78 milioni: confezioni vendute nel 2017, di cui
17 milioni: in Italia
61 milioni: all’estero