Considerata la più grande organizzazione di prodotto in Italia (12% della suinicoltura italiana) Opas sviluppa la sua attività principalmente nella macellazione e vendita di suini conferiti dai soci (che hanno obbligo di conferire almeno il 75% della loro produzione in base alla normativa comunitaria delle Organizzazioni di prodotto).
La cooperativa, che ha una capacità produttiva al macello di circa 500 capi/ora (di cui il 70% sono suini Dop), è riconosciuta dal mercato per l’elevata qualità dei suini e della carne, l’utilizzo di personale qualificato, la politica di un rigoroso controllo, la capacità di offrire omogeneità e qualità costanti per le produzioni Dop e l’efficienza del servizio di vendita e acquisto.
E come tutto il comparto suinicolo, anche Opas si trova oggi a dover affrontare la grave crisi che sta colpendo la suinicoltura italiana. In che modo? Ce lo spiegano il presidente Lorenzo Fontanesi e l’amministratore delegato, Valerio Pozzi.
In che modo Opas sta affrontando questo periodo di forte crisi per il settore?
«Il comparto – risponde Pozzi - si trova oggi in una situazione di grave crisi, il Covid ha bloccato il 30% del mercato destinato all’horeca con conseguenze molto pesanti per tutti i protagonisti della filiera. Oggi stiamo lavorando per lo più con la grande distribuzione e le grandi industrie e ci stiamo confrontando con prezzi di carattere europeo, che di certo non si abbinano alle nostre eccellenze».
«Inoltre – continua Pozzi -, le speculazioni internazionali sulle materie prime destinate all’alimentazione dei suini non fanno altro che incrementare i costi di produzione e abbassare i margini per gli allevatori. Come uscirne? Innanzitutto puntando maggiormente sull’export e, poi, creando un fondo mutualistico - così come è stato fatto per il settore lattiero caseario - che assicuri reddito agli allevatori. Solo in questo modo, quando il prezzo del suino scenderà sotto la soglia e non sarà più remunerativo e i costi di produzione saranno troppo elevati, l’allevatore potrà sopravvivere. Noi di Opas ci stiamo muovendo in questa logica”.
«Davanti a un mercato instabile come quello dei suini – afferma il presidente Fontanesi - Opas sta ragionando con la logica del prezzo finito. Abbiamo così cominciato a proporre dei contratti di acquisto del suino e di vendita di alcuni tagli a prezzo finito. Questa pratica – molto usata all’estero e meno in Italia – garantisce maggiore stabilità al mercato, evitando le oscillazioni, e allo stesso tempo ci consente di conoscere meglio il prodotto, in particolare i tagli che non sono valorizzati».
Recovery Fund: cosa chiedete?
«Relativamente a questa nuova misura, siamo in attesa di conoscere quello che sarà proposto per il settore – afferma Pozzi -. Innanzitutto, sarebbe auspicabile indirizzare i fondi verso la filiera corta, al fine di creare maggiore valore aggiunto: gli allevatori saranno così protagonisti della filiera poiché potranno produrre, macellare e vendere suini».
«Inoltre, visto e considerato il recente obbligo di indicare l’origine della carne in etichetta, il Recovery Fund dovrebbe mettere a disposizione fondi per la promozione e la valorizzazione del suino italiano. Ricordiamoci che, oggi, tra tutti i tagli anatomici del suino, solo le cosce sono valorizzate. Quella per la valorizzazione di tutti i tagli anatomici del suino è una battaglia che Opas combatte da anni, ed è da questo presupposto che nasce anche il nostro marchio Eat Pink».
Quali sono gli sviluppi del recente caso blocco import cinese che ha coinvolto alcuni dei vostri container di carne ritenuti contaminati da Covid?
«La situazione sembra essersi sbloccata ma il rischio non è superato. Per prevenire - per quanto possibile - abbiamo deciso di aumentare ancora di più le pratiche di sanificazione sui nostri prodotti e mezzi. Ora – afferma Pozzi - sanifichiamo un cartone alla volta, un pallet alla volta e un container alla volta. Abbiamo così messo al corrente l’Ambasciata cinese, il ministero della Salute e il Servizio veterinario dell’Emilia-Romagna, oltre che tutti i nostri clienti».
«Facciamo tutto questo con la speranza che quanto accaduto a gennaio non si ripeta più. Convinti anche del fatto che la carne di suino italiano sia per i cinesi un business irrinunciabile. Proprio nei mesi precedenti la pandemia avevamo dialogato con i ministeri degli Esteri e della Salute per aumentare l’export in Cina».
Sempre parlando di Covid, ma più in generale, come vi state comportando?
«Da quando la pandemia è scoppiata – afferma Fontanesi - stiamo adottando tutte le misure di prevenzione suggerite dal governo. Ci siamo attivati per evitare assembramenti e abbiamo favorito turni di lavoro e implementato piani di disinfezione quotidiani.
Ovviamente, in questa fase produttiva della filiera è inevitabile la presenza di più persone all’interno dello stesso locale, tuttavia, fino a oggi, non abbiamo avuto problemi. A luglio 2020, su 700 persone che hanno eseguito il tampone, solo una è risultata positiva».
Oltre al Covid, il settore suinicolo si trova oggi a dover affrontare anche altre nuove sfide come il benessere animale e l’antibiotico resistenza. Cosa sta facendo Opas a riguardo?
«Devo dire – afferma Fontanesi - che Opas è sempre stata lungimirante: abbiamo cominciato a guardare all’animal welfare e all’antibiotic free già cinque anni fa. L’intenzione era quella di arrivare preparati davanti alle sfide del futuro. Ed ecco che oggi teniamo il passo».
«In particolare, Opas è stata tra le prime a collaborare con una associazione animalista (Ciwf), sostenendo da sempre un approccio aperto e trasparente nei confronti degli operatori e dei consumatori. Ciò non significa che condividiamo tutti i principi degli animalisti – precisa il presidente di Opas -, ma siamo disposti a considerare le loro tesi, con l’intenzione di cogliere spunti utili».
«Anche la tracciabilità è per noi un elemento fondamentale – aggiunge Pozzi -. I nostri prodotti sono tracciati durante tutte le fasi di produzione, dal campo (materie prime per l’alimentazione dei suini) all’allevamento (suini), dalla macellazione (carne) fino alla vendita (prodotto finito). Questo percorso di tracciabilità ci consente di offrire garanzie al consumatore e di ottenere più competitività sul mercato».
«Per dare ancora più valenza a questo processo abbiamo scelto di certificare la procedura, delineando così un disciplinare. A distanza di qualche anno, oggi Opas propone ai suoi soci tre disciplinari: uno dedicato all’animal welfare, uno all’uso degli antibiotici e uno al biologico».
«Si deduce – sottolinea Pozzi - che l’impegno richiesto ai nostri soci è certamente alto, ma economicamente lo si può ritenere sostenibile. Del resto, al di là delle scelte di Opas, tutto il settore sta viaggiando verso quella direzione e la maggior parte dei requisiti da noi richiesti risultano già normati. Temi quali quelli affrontati dai disciplinari di Opas infatti sono oggi molto discussi e sensibilizzano fortemente il consumatore, disposto a spendere qualcosa in più per prodotti con determinate caratteristiche. Infine, attraverso i disciplinari siamo anche stati in grado di conoscere meglio i nostri allevatori e indirizzarli verso ciò che chiede il consumatore».
Qual è il rapporto di Opas con i suoi soci allevatori?
«Fin dall’inizio della sua attività – risponde Valerio Pozzi - Opas ha avuto l’obiettivo di aggregare i produttori per poter agire sul mercato con una maggiore competitività. La vision di Opas si sposa perfettamente con i principi della moderna strategia Farm to Fork, proponendo l’assioma dal produttore al consumatore. Tra le priorità dell’organizzazione c’è quella di dare un’identità agli allevatori che, in quanto fornitori di Opas, dovranno rispettare determinati requisiti».
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