Un nuovo piano d’azione

peste suina africana
Allevamento suini
L’aggiornamento di metà settembre fotografa un rallentamento dei focolai di Psa. Un respiro di sollievo, ma la situazione resta bloccata. Focus sulle procedure del personale

Ad aprire il webinar del 18 settembre è stato il commissario straordinario per la Peste suina africana Giovanni Filippini. «Stiamo gestendo una situazione molto complessa e siamo in emergenza. Grazie all’Istituto Zooprofilattico per il grande lavoro che sta facendo di formazione di informazione».

Il commissario ha sottolineato la valenza delle indagini epidemiologiche e l’importanza della loro condivisione anticipando l’imminente uscita di una nuova ordinanza in relazione all’aggiornamento dello scenario e alle le disposizioni future.
«La situazione è in evoluzione, al momento siamo a 29 focolai. Speriamo, lo dico con la massima prudenza, che siano finiti. Parallelamente, sapete - ha proseguito Filippini - è iniziata una nuova strategia nei confronti della gestione anche del selvatico del cinghiale che rappresenta per noi un altro grandissimo problema nella diffusione del virus. Abbiamo inviato il nuovo piano d’azione in Commissione Europea che lo ha valutato positivamente».

Come anticipare il virus

Il nuovo piano si basa su quattro azioni:

  • costruzione delle barriere lungo gli assi autostradali;
  • depopolamento dei cinghiali nelle aree delimitate e soprattutto anella fascia di contenimento intono alle barriere;
  • sorveglianza attiva;
  • biosicurezza.

Il Commissario ha riferito di voler presentare in sede europea il quadro in oggettivo miglioramento per poter conseguentemente alleggerire le restrizioni a fronte di un rallentamento della diffusione.

«La biosicurezza – ha tenuto a precisare Filippini - rappresenta veramente un tema molto complesso sia dal punto di vista degli aspetti strutturali ma soprattutto dal punto di vista degli aspetti gestionali, su questo ci siamo resi conto che dobbiamo mettere in campo tutte le strategie insieme agli allevatori, perché sappiamo che intorno agli allevamenti esiste un sistema di persone e di movimentazione di mezzi che in qualche modo dobbiamo monitorare e attenzionare.

Psa, un virus difficile da debellare

È importante far capire che siamo di fronte a un virus con caratteristiche di grande resistenza nell’ambiente, anche con temperature come quelle che abbiamo vissuto durante il periodo estivo. Siamo consapevoli delle difficoltà che gli allevatori hanno nel gestire perché, come rilevato dalle indagini epidemiologiche, anche a fronte di biosicurezza rafforzata (dal punto di vista strutturale) il virus è entrato in allevamento, probabilmente facendo breccia più in alcuni aspetti prettamente gestionali».

«Siamo tutti sulla stessa barca – ha concluso Filippini - il vero nemico e lo sappiamo è il virus della Peste suina africana (Psa), facciamo di tutto per poterlo contrastare: ora lo stiamo rincorrendo, per risolvere il problema dobbiamo riuscire ad anticiparlo mettendo in atto tutte quelle azioni che, me lo auguro, ci porteranno in qualche modo a gestire in maniera diversa la Psa».

L’importanza della condivisione di aggiornamenti con gli allevatori

Giorgio Varisco, direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale della Lombardia ed Emilia-Romagna, entrando nel merito dell’incontro ha condiviso con il Commissario l’importanza di una condivisione diretta e immediata degli aggiornamenti con il mondo allevatoriale e a tal fine ha dato la parola a Giuseppe Ru – direttore generale della struttura complessa epidemiologia dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.

Piemonte e Liguria, progressione dei focolai di peste suina africana

«Parlando di cinghiali - ha precisato Ru - oggi abbiamo rilevato circa 600 positività alla Psa in Piemonte e un migliaio in Liguria. Nell’ultimo anno, mentre in Liguria la malattia ha continuato a diffondersi, con tanti casi nel genovese e poi spostandosi verso est; in Piemonte la malattia in qualche modo ha rallentato».

Nella rilevazione temporale delle positività è evidente come nella zona piemontese inizialmente colpita ci siano successivamente pochi casi «Lì ormai ci sono pochi cinghiali e dunque pochi casi mentre la malattia si è spostata soprattutto sul versante est».

Allora guardando invece la situazione nei suini, Giuseppe Ru ha spiegato che la situazione è in divenire e si è verificata una progressione nel tempo dei focolai sino ad arrivare a sette in provincia di Novara e uno in provincia di Vercelli. «Abbiamo cercato di capire come la malattia sia arrivata e come sta si sta diffondendo negli allevamenti».

Due casi significativi

Dalle indagini epidemiologiche sono emersi alcuni dati significativi. «Un focolaio in un allevamento di riproduzione ha visto nelle due settimane precedenti ingressi di personale esterno proveniente da aree geografiche che poi successivamente sono state segnalate come aree di circolazione virale nel suino domestico e quindi probabilmente la malattia è arrivata in quel modo.

L’allevamento da ingrasso in cui si è verificato un focolaio condivideva la medesima proprietà con la scrofaia da dove presumibilmente la positività è partita con un trasferimento interno di animali nel mese precedente».

Il terzo focolaio

Il terzo focolaio è stato molto probabilmente causato dallo spostamento del medesimo personale tra l’allevamento sede del secondo e la sede del terzo. «Nel focolaio 3 abbiamo registrato l’ingresso di autoveicoli nei dieci giorni prima dell’inizio della mortalità – ha sottolineato Ru. Un veicolo potrebbe essere la causa del focolaio 5: un allevamento da ingrasso ma con un macello annesso, presso il quale, abbiamo poi ricostruito, nel mese precedente erano stati macellati due capi provenienti dal focolaio 3 quando non si sapeva della positività».

L’appartenenza alla medesima filiera si è rivelato, come ci si aspettava, un ulteriore veicolo di trasmissione.

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Elementi emersi dalle indagini

«Per quanto riguarda le ipotesi dall’indagine epidemiologica – ha spiegato Ru - dicono innanzitutto che c’è un cluster geografico, suggeriscono l’esistenza di un fattore di rischio comune e locale soprattutto evidenziano che alla diffusione concorrono più fattori legati ai contatti attraverso gli operatori della filiera.

Il fattore umano

Il fattore umano in questi focolai è molto più importante del cinghiale. Quella non è una zona già interessata dall’epidemia del cinghiale, ma la malattia ci è arrivata in un secondo momento attraverso il fattore umano; quindi, i contatti indiretti sono stati molto più importanti dei contatti diretti (suino -suino) causa di un focolaio in un solo caso».

Biosicurezza strutturale

Un altro elemento emerso dalle indagini è che la biosicurezza dal punto di vista strutturale è in generale buona, negli allevamenti colpiti sono state più determinanti le “brecce” nei comportamenti.

«Disponiamo per ora di pochi dati – ha concluso Ru – per capire il fenomeno. È indispensabile riprendere le indagini epidemiologiche e considerarle nel loro insieme».

In Lombardia

Silvia Bellini, responsabile della struttura Sorveglianza epidemiologica Izsler e Giorgio Varisco, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia ed Emilia-Romagna

Silvia Bellini, responsabile della struttura Sorveglianza epidemiologica Izsler, ha fatto il punto sulla situazione lombarda evidenziano una situazione epidemiologica più favorevole rispetto al passato, pur tuttavia con la rilevazione, nell’ultima settimana di un nuovo focolaio portano a 20 la conta generale nella regione. «Sono stati abbattuti già quasi 71.000 suini», ha spiegato Bellini riassumendo gli esiti delle indagini epidemiologiche condotte in Lombardia.

«Il ritrovamento di una carcassa di cinghiale positiva alla Psa ieri sera (il 17 settembre n.d.r.) nella punta estrema della provincia di Pavia – ha spiegato Bellini - ci ricorda che in ogni caso la malattia continua a essere presente nel cinghiale. Quando si riuscirà a eradicare la malattia nel suino domestico ci deve rimanere in mente che questo è un territorio in cui la malattia è presente nell’ambiente. Saremo sempre esposti in quest’area all’introduzione dell’infezione. L’applicazione delle misure di biosicurezza ci deve entrare nel Dna, se si vuole preservare il comparto suinicolo».

Psa, rallentamento nella diffusione

La successione temporale delle positività illustrata dalla dottoressa Bellini evidenzia un netto rallentamento della diffusione della malattia nel suino domestico.

Al rallentamento si ipotizza abbia contribuito anche il calo delle temperature – ha sottolineato Varisco - chiedendo comunque di tenere l’attenzione molto alta e introducendo Mark Alistair Beghain esperto di biosicurezza e di sistemi di gestione della biosicurezza in allevamento.

Responsabilizzare tutti gli operatori della filiera

L’articolato intervento ha ripreso e riassunto quanto evidenziato anche nei precedenti webinar: la biosicurezza è un concetto articolato in aspetti

  • strutturali, gestionali e procedurali,
  • interni ed esterni all’allevamento
  • e che vede il fattore umano agire in modo determinate.

A tal fine è indispensabile agire come comunità e responsabilizzare tutti gli operatori della filiera:

  • renderli consapevoli del proprio ruolo,
  • informarli e istruirli sulle procedure di gestione corretta,
  • informarli sull’importanza di non sottovalutare questo aspetto.

L’importanza della biosicurezza è costantemente cresciuta negli ultimi 25 anni in conseguenza a diverse malattie zootecniche, conseguentemente anche il corpo normativo afferente si è andato irrobustendo sino ad arrivare, ha detto Alistair Beghian, «alla nuova legge di sanità animale che individua proprio in tutti quelli che sono gli strumenti di prevenzione l’asse importante di tutta la normativa. Ora siamo in piena allerta Psa, dobbiamo porci la domanda se possiamo permetterci il lusso di non fare biosicurezza».

Come uscire dalla crisi?

Il passaggio chiave per uscire dalla crisi ad avviso dell’esperto è «creare una cultura della biosicurezza: formare le risorse umane alla biosicurezza. Far capire e condividere che il nemico è l’agente patogeno: un virus, nel caso della Psa, molto stabile nell’ambiente. Questo significa dover applicare indispensabilmente e scrupolosamente un protocollo di protocollo pulizia e igiene, con molta cura nelle fasi della detersione.

La biosicurezza è la tattica per vincere il nemico. I protocolli sono legati ai momenti produttivi quindi (in fase di vuoto sanitario o piuttosto che in presenza di animali) e a momenti specifici della routine di allevamento (ingresso degli animali, ingresso dei camion). È necessario addestrare gli operatori che si occupano delle varie fasi, dotarli di attrezzature, monitorarne la funzionalità e le condizioni d’uso. Altro elemento importante è avere un registro degli accessi».

L’incontro ha dunque dato spazio ai quesiti. Alla richiesta di disponibilità di un vaccino Silvia Bellini ha spiegato: «Non ci sono novità operative a breve termine, un vaccino potrebbe essere disponibile l’anno prossimo o l’anno dopo, ma la soluzione non sarà il vaccino per i suini, per tutti i problemi commerciali che la vaccinazione del suino comporta. Potrebbe essere eventualmente utile vaccinare i cinghiali per diminuire la carica infettante nell’ambiente, questo però non ci toglie che dovremo continuare ad applicare misure di biosicurezza».

In ogni caso, hanno ricordato gli esperti concludendo, l’abbattimento dei cingili è uno di dei quattro pilastri del piano presentato alla Commissione europea per la strategia di eradicazione della peste.


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Un nuovo piano d’azione - Ultima modifica: 2024-10-11T16:26:40+02:00 da Laura Della Giovampaola

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