Lo scorso ottobre, durante la rassegna Italpig di Cremona la Sivar (Società italiana veterinari per animali da reddito) ha promosso un convegno sul tema “Confrontare i problemi riproduttivi: esperienze di campo nella patologia, gestione ed alimentazione delle scrofe iperprolifiche”. Coordinati da Roberto Bardini, nutrizionista Nutreco, sono intervenuti Enric Marco, veterinario e consulente suinicolo internazionale, e Iller Campini, veterinario e nutrizionista Martini. Nel suo intervento, il dottor Marco ha messo in evidenza che i problemi patologici legati all’iperprolificità non sono nuove acquisizioni, ma assumono maggiore importanza in un contesto nel quale i progressi genetici sono sempre più rapidi e le normative riguardanti il benessere più cogenti. Ha inoltre esposto alcuni casi clinici osservati in campo nel suo lavoro quotidiano. Il primo caso ha riguardato un allevamento che ha passato le scrofe da gabbie a box per l’adeguamento normativo, utilizzando gli spazi presenti in ingrasso, con mangiatoie a volontà. Dopo alcuni mesi si è registrato un abbassamento della fertilità, dei nati totali e aumento dei nati morti. L’analisi del problema ha evidenziato che le scrofe mangiavano un mangime “povero” e che il consumo arrivava a 4-5 kg /giorno per capo. Tale quantità di mangime ed energia provocava già alla fine della gestazione uno stato di “chetosi” che determinava gli effetti negativi sopra descritti. La soluzione fu eliminare le mangiatoie e disporre del mangime alle scrofe in quantità predefinita distribuita a pavimento. Nel secondo caso, in seguito all’adattamento alla normativa benessere sono stati utilizzati dei paddock esterni per le scrofe in gestazione. Il problema si presentava con aumento di perdite di gravidanza alla fine della gestazione in un determinato periodo dell’anno corrispondente alla stagione primaverile. Si osservò che le scrofe stavano coricate sotto il sole primaverile il che provocava importanti lesioni cutanee che, provocando il rilascio di prostaglandine dovute al dolore della scottatura, inducevano l’aborto. La soluzione in questo caso fu coprire il paddock esterno con una rete oscurante protettiva. L’allevamento è gestito in bande trisettimanali e i box di ingrasso sono stati adattati per ricevere le scrofe in gruppo; con questo sistema l’alimento veniva somministrato due volte al giorno. I problemi arrivavano con l’aumento degli aborti tardivi, aumento dei nati morti e di suinetti disvitali. L’allevamento è negativo PRRS, APP e Mycoplasma e localizzato in montagna in una zona a bassa densità suinicola. Si pensò subito all’entrata di un nuovo patogeno, invece la causa era nella linea di distribuzione che soffriva di sbalzi di voltaggio frequente in quella zona e distribuiva erroneamente le quantità di mangimi sopratutto a fine linea. La soluzione fu il cambio della linea di distribuzione e la somministrazione dell’alimento tre volte al giorno. Alla fine della gestazione, con le scrofe ad elevata prolificità, mancate energie e/o proteine possono causare gravi perdite. Le scrofe sono alimentate a liquido con utilizzo di sottoprodotti come succo d’arancio e melasso (4%). L’acqua è di pozzo e il terreno è argilloso. Si verifica che il ph urinario delle scrofe medio è di 8,2; si osservano parti lenti, aumento di nati morti. La diagnosi fatta è di un elevato tenore di potassio nell’alimentazione, proveniente dall’acqua del terreno argilloso ricco in potassio e dal melasso anch’esso ricco in potassio. La soluzione arriva con la sospensione del melasso e aggiunta di cloruro di calcio all’1% (premescolato con la soia per l’appetibilità). Infine, il quinto caso: un allevamento di 5.000 scrofe con autorimonta. Livello di prolificità inferiore alle aspettative. Le F1 perdevano produzione con l’aumentare dei parti. Invece le GP mantenevano il trend positivo. Il problema era iniziato nel 2011 con l’aumento delle scrofe. La portata al parto era buona (90%) e si è mantenuto lo stesso staff in copertura anche con l’aumento delle scrofe proprio perché erano molto bravi. Dalle analisi, si nota che le scrofe coperte la domenica e il lunedì erano quelle con i peggiori indici di natalità. Si è verificato che le dosi utilizzate in quei giorni erano quelle arrivate il giovedì precedente. Soluzione: si cambiò il giorno di consegna e si aggiunsero altre persone ad inseminare le scrofe dopo di che il numero dei nati totali aumentò immediatamente a +1,2 per scrofa. In conclusione: scrofe più prolifiche? Per ottenerle, serve più professionalità e attenzione nell’alimentazione. La linea americana Campani la chiama “leggera”: soggetti con rapido accrescimento e con indicazioni di coperture precoci (7 mesi c.) e peso tra 130-140kg con spessori del grasso al P2 a livelli minimi. Queste scrofette e scrofe richiedono importanti tenori di energia e proteina nella formulazione con utilizzo di una curva alimentare “da fame” in gestazione. Alla fine, la scrofa americana consuma meno quantità di mangimi rispetto alla scrofa europea, ma in Europa la scrofa americana “si adatta” e talvolta non va bene. La scrofa danese richiede accrescimenti più lenti, con età alla prima copertura di almeno 8 mesi, se non 9 mesi, con un buon spessore del grasso dorsale in P2 e granulometria del mangime media dell’ordine di 1.000 micron per evitare problemi di ulcere gastriche: alimentazione con bassi livelli di energia e proteina, ma con curve alimentari più abbondanti. In sala parto le scrofe danesi devono mangiare molto per non perdere condizione corporale, anche 8-10 kg, invece le americane possono permettersi di mangiare 6.5 kg per via del peso più contenuto degli animali e per indicazioni di formulazioni con tenori più elevati in energia e proteina. La linea olandese si colloca come una genetica di tipo “intermedio” con richieste manageriali (peso, età alla copertura, spessore del grasso in P2) e di formulazioni di mangimi che si collocano tra la linea americana e la linea danese. Esiste una abissale differenze tra le linee genetiche tale per cui non possono essere alimentate in modo uguale, né per quanto riguarda la formulazione, né per quanto riguarda le curve alimentari e nemmeno per quanto riguarda la granulometria. Campani ha concluso una massima: l’allevatore può fare le sue scelte per quanto riguarda la genetica, ma non può fare il nutrizionista.
Da gabbia a box
Anche nel terzo caso il problema sorse con il passaggio delle scrofe da gabbie a box. In questo allevamento il sistema di alimentazione utilizzato per le scrofe in gruppo era quello del “fissaggio biologico”, dove il cibo viene erogato per pochi secondi con la finalità di costringere le scrofe a restare alla propria postazione.
Più professionalità
Il quarto caso riguardava un allevamento di 2.000 scrofe PRRS negativo che svezzavano suinetti troppo leggeri, 5 kg a 21 giorni di età, con aumento della mortalità sottoscrofa, diarrea nel 90% delle figliate; gli antibiotici non funzionano, nemmeno le diverse vaccinazioni o il feed back.
Americana, olandese
e danese
Il dottor Campani ha focalizzato la propria relazione sui tipi genetici esistenti sul mercato e le differenze tra essi. Nonostante la selezione genetica sia originariamente iniziata con le stesse basi, oggi abbiamo 3 categorie ben distinte: la linea americana, la linea olandese e la linea danese.
Allegati
- Scarica il file: L’importanza della nutrizione nella gestione delle scrofe