La Rassegna Suinicola di Reggio Emilia è sempre stata un’occasione importante per svolgere riflessioni sulla suinicoltura internazionale.
Su di un piano generale il contesto europeo sarà sempre più condizionante: sia per effetto delle politiche generali (basti pensare alle crisi nella quale ancora ci dibattiamo) e sia per effetto della politica agraria e di quella più specifica per la suinicoltura.
Relativamente al primo aspetto il settore è sostanzialmente soggetto passivo nel senso che esso è costretto a subire gli eventi con scarse possibilità di influenza. Ma i Paesi che meno soffrono della recessione (Germania, Francia, Regno Unito, per considerare i più importanti) hanno ripercussioni meno gravi rispetto a quelle che investono l’Italia sia per quanto riguarda il potere d’acquisto dei consumatori così come per le influenze sui costi. Alle politiche economiche generali, quindi, deve essere riservata la massima attenzione.
In merito alla politica agraria la nuova Pac non è molto favorevole per la suinicoltura essendo primariamente orientata alle problematiche ambientali. Problematiche certamente da non sottovalutare ma che non debbano essere considerate con spirito unilaterale e punitivo.
L’avversione agli intensivismi, ancorché essi siano realizzati con criteri ecocompatibili, è una scelta più ideologica che non razionale. Per l’agricoltura italiana è una perdita di competitività. Per la nostra suinicoltura, poi, è una scelta doppiamente negativa. In primo luogo, perché la produzione di alimenti foraggeri (soprattutto per la combinazione campo-mangiatoia) è penalizzata sia per i vincoli ambientali e sia per il perdurante ed illogico divieto degli ogm: i contenimenti delle rese e l’incidenza delle aflatossine dovrebbe fare riflettere visto che ormai tutto il mondo li coltiva e noi abbiamo finito per usarli.
Per altro aspetto la concentrazione degli allevamenti, (in sé positiva, ma entro certi limiti) può determinare eccessi di carico e la necessità di impianti di condizionamento che sottraggono sostanza organica ai terreni ed accentuano la utilizzazione di alimenti per il bestiame al fine di rifornire i bioreattori.
Se questi orientamenti dell’Unione saranno consolidati si richiederebbe una adeguata politica di indirizzo e di sostegno da parte del nostro Governo e delle Regioni.
Altro aspetto più direttamente connesso alla suinicoltura riguarda gli incentivi dell’Unione affinché gli allevatori sviluppino ulteriormente le forme associative allargando la loro presenza nella filiera.
Il problema dell’organizzazione dei produttori è vecchio. Da tempo gli altri Paesi hanno fatto scelte efficaci su base cooperativa e delle Associazioni produttori. L’Italia no e gran parte dei gaps che si riscontrano scaturiscono da questa idiosincrasia ad organizzarsi.
La scelta di rispondere ai problemi ingrandendo gli allevamenti non è risolutiva e rallenta le aggregazioni. Se non si agisce sugli equilibri di mercato attraverso una programmazione produttiva efficace che concentri e qualifichi l’offerta non si va da nessuna parte.
La frammentazione della filiera sarà sempre sfavorevole per gli allevatori.
Il problema centrale dal quale derivano la prevalenza degli altri sta proprio nella dispersione dell’offerta e nella discontinuità della filiera.
Gli adattamenti tecnici, per quanto importanti, non possono risolvere gli aspetti strutturali.
Le soluzioni esistono e non mancano gli esempi, soprattutto all’estero ma anche in Italia qualcosa si muove. Si tratta di avere visione realistica del futuro ed il coraggio di cambiare verso forme organizzative non più basate sui singoli bensì su sistemi (associativi o meno) che integrino la filiera. Con queste modalità si possono determinare notevoli economie interne ed esterne e si riducono fortemente le alee di mercato. Se da anni il mondo evoluto e l’Ue vanno verso questa direzione vi sarà pure qualche buona ragione.