I genomi sono il software delle produzioni biologiche.
Infatti, l'efficienza della trasformazione degli input ambientali e le specificità dei prodotti sono legate al patrimonio genetico: le tecnologie produttive sono condizionate dalle suscettività genetiche.
Queste sono condizioni generali valide per tutte le attività biologiche ma si evidenziano in modo particolare per la suinicoltura ove le finalizzazioni produttive sono molteplici.
La suinicoltura italiana, poi, accentua queste differenziazioni ed evidenzia la tradizione produttiva dominante del “suino pesante”.
La genetica costituisce pertanto la componente centrale di qualsiasi sistema biologico inteso quale integrazione di tutte le fasi che interagiscono: da quelle primarie fino alla distribuzione al consumo finale. L'allevamento non è quindi una somma di attività bensì è un progetto organico ed integrato.
Progettare un sistema produttivo significa definire - in primo luogo - l'obiettivo finale (prodotto destinato all'utilizzazione terminale) per poi individuare e creare i genomi in grado di realizzare tali obiettivi attraverso le tecnologie di filiera qualitativamente più rispondenti ed economicamente più convenienti.
Ovviamente gli obiettivi finali sono molteplici per cui la condizione ideale sarebbe quella di concepire genetiche specifiche differenziate per ogni obiettivo. Evidentemente ciò è difficile, tanto più che dagli allevamenti forzatamente si ottengono animali le cui carcasse realizzano tagli con destinazioni diversificate.
Ne consegue che l'obiettivo concreto di produzione deve essere orientato a realizzare allevamenti di animali che ottengano il massimo valore di mercato derivante dalla ponderazione del valore dei tagli che da loro si ottengono. È questo un compromesso nel quale i tagli di maggior pregio finiscono per avere il peso prevalente.
Questa politica produttiva è perseguibile attraverso progetti selettivi organici e programmati che si connettano con zootecniche coerenti.
Una ulteriore condizione è che si realizzino produzioni caratterizzate in quantità rilevante e con caratteristiche omogenee costanti così da potere alimentare filiere sulle quali sia possibile impostare politiche mercantili di valorizzazione.
In altri termini è importante realizzare strategie di sistema e di scala che, in Italia, potrebbero fare leva sulle imprese integrate e sulle associazioni produttori, purché queste assumano realmente il ruolo loro riconosciuto dalla Ue.
A fronte della variabilità delle situazioni testè evidenziata, la fonte genetica deve essere specificamente qualificata.
Il suino “tuttofare” è un compromesso al ribasso. Così la genetica “fai da te” è da evitare. Essa è stata ed è una delle debolezze della nostra suinicoltura ed è causa della negativa variabilità dei nostri prodotti: tipici compresi.
Come lo è per tutte le attività produttive è quindi auspicabile che il mercato possa fornire agli allevatori alternative valide sulle quali sia possibile impostare con carattere continuativo programmi produttivi specifici di filiera.
Il pluralismo è un valore quando però non induca a confusione.
Il modo migliore per evitare confusioni sarebbe quello di imporre ai fornitori di genetica una certificazione documentante le caratteristiche delle carcasse e gli indici di prestazione affinché siano possibili confronti attendibili rispetto agli obiettivi e si possano ottenere garanzie di rapporto.
L'economia si avvantaggia di una concorrenza imperniata sulla trasparenza. Il liberismo produttivo, purché ordinato, avvantaggia tutti e stimola a progredire. Di questo si giova tutto il sistema produttivo perché stimola la competitività anche attraverso evoluzioni strutturali conseguenti.
La suinicoltura italiana costituisce un caso particolare: essa è aperta in modo notevole all'import (circa il 40% del fabbisogno) ma il suo futuro e fortemente legato all'export di trasformati.
Quindi per essa il protezionismo non ha senso tanto più che, per quanto riguarda la genetica, dimostra di non avere le capacità e le risorse per sostenere la concorrenza.
Infatti, l'efficienza della trasformazione degli input ambientali e le specificità dei prodotti sono legate al patrimonio genetico: le tecnologie produttive sono condizionate dalle suscettività genetiche.
Queste sono condizioni generali valide per tutte le attività biologiche ma si evidenziano in modo particolare per la suinicoltura ove le finalizzazioni produttive sono molteplici.
La suinicoltura italiana, poi, accentua queste differenziazioni ed evidenzia la tradizione produttiva dominante del “suino pesante”.
La genetica costituisce pertanto la componente centrale di qualsiasi sistema biologico inteso quale integrazione di tutte le fasi che interagiscono: da quelle primarie fino alla distribuzione al consumo finale. L'allevamento non è quindi una somma di attività bensì è un progetto organico ed integrato.
Progettare un sistema produttivo significa definire - in primo luogo - l'obiettivo finale (prodotto destinato all'utilizzazione terminale) per poi individuare e creare i genomi in grado di realizzare tali obiettivi attraverso le tecnologie di filiera qualitativamente più rispondenti ed economicamente più convenienti.
Ovviamente gli obiettivi finali sono molteplici per cui la condizione ideale sarebbe quella di concepire genetiche specifiche differenziate per ogni obiettivo. Evidentemente ciò è difficile, tanto più che dagli allevamenti forzatamente si ottengono animali le cui carcasse realizzano tagli con destinazioni diversificate.
Ne consegue che l'obiettivo concreto di produzione deve essere orientato a realizzare allevamenti di animali che ottengano il massimo valore di mercato derivante dalla ponderazione del valore dei tagli che da loro si ottengono. È questo un compromesso nel quale i tagli di maggior pregio finiscono per avere il peso prevalente.
Questa politica produttiva è perseguibile attraverso progetti selettivi organici e programmati che si connettano con zootecniche coerenti.
Una ulteriore condizione è che si realizzino produzioni caratterizzate in quantità rilevante e con caratteristiche omogenee costanti così da potere alimentare filiere sulle quali sia possibile impostare politiche mercantili di valorizzazione.
In altri termini è importante realizzare strategie di sistema e di scala che, in Italia, potrebbero fare leva sulle imprese integrate e sulle associazioni produttori, purché queste assumano realmente il ruolo loro riconosciuto dalla Ue.
A fronte della variabilità delle situazioni testè evidenziata, la fonte genetica deve essere specificamente qualificata.
Il suino “tuttofare” è un compromesso al ribasso. Così la genetica “fai da te” è da evitare. Essa è stata ed è una delle debolezze della nostra suinicoltura ed è causa della negativa variabilità dei nostri prodotti: tipici compresi.
Come lo è per tutte le attività produttive è quindi auspicabile che il mercato possa fornire agli allevatori alternative valide sulle quali sia possibile impostare con carattere continuativo programmi produttivi specifici di filiera.
Il pluralismo è un valore quando però non induca a confusione.
Il modo migliore per evitare confusioni sarebbe quello di imporre ai fornitori di genetica una certificazione documentante le caratteristiche delle carcasse e gli indici di prestazione affinché siano possibili confronti attendibili rispetto agli obiettivi e si possano ottenere garanzie di rapporto.
L'economia si avvantaggia di una concorrenza imperniata sulla trasparenza. Il liberismo produttivo, purché ordinato, avvantaggia tutti e stimola a progredire. Di questo si giova tutto il sistema produttivo perché stimola la competitività anche attraverso evoluzioni strutturali conseguenti.
La suinicoltura italiana costituisce un caso particolare: essa è aperta in modo notevole all'import (circa il 40% del fabbisogno) ma il suo futuro e fortemente legato all'export di trasformati.
Quindi per essa il protezionismo non ha senso tanto più che, per quanto riguarda la genetica, dimostra di non avere le capacità e le risorse per sostenere la concorrenza.