L’argomento
costo di produzione, è sempre arduo da trattare perché raramente mette d’accordo
coloro che partecipano a una discussione in merito. Infatti, di fronte a
determinate voci di costo, è difficile trovare la “quadra”, per alcuni i costi
discussi sono eccessivi, per altri ancora gli stessi costi sono troppo bassi. Ecco
perché scrivere di costi di produzione è impresa ardua in quanto, generalmente,
scontenta un po’ tutti.
Se
questo aspetto può essere comunque tollerato e da un certo punto di vista ha una
sua giustificazione, va detto che ciò che invece non può essere accettato, è
che in azienda non si conosca il proprio costo di produzione. Premesso che, in
un’epoca in cui i margini sono ristretti, far bilancio passa per il
contenimento dei propri costi che devono essere assolutamente conosciuti e
sotto stretta sorveglianza, cercheremo nelle righe seguenti di aggiungere un’altra
motivazione ammesso che fosse necessaria.
Impatto sul margine netto
Al
riguardo viene in nostro soccorso una pubblicazione d’oltreoceano, dove si
mostrano i risultati conseguiti da un’azienda specializzata (Agrimetrics) che
conduce analisi sui costi per i principali gruppi integrati statunitensi. Nella figura 1 si mostra l’impatto sul
margine netto che può avere il costo di produzione e il prezzo di mercato.
A una prima analisi del
grafico, la risposta appare subito chiara: il costo di produzione ha un impatto
decisamente maggiore sul guadagno rispetto al prezzo di mercato. Tale
correlazione emerge da un’analisi condotta su diversi allevamenti nel corso di
due anni, in cui si evidenzia come il prezzo di mercato giustifichi le
differenze di margini tra le aziende per un 15%, mentre l’impatto del costo di
produzione è ben superiore e incide per oltre il 65%.
La riprova di quanto detto è
sotto i nostri occhi anche all’epoca in cui si scrive, dove il bollettino per i
suini pesanti da macello si aggira intorno agli 1,55 €/kg e, al tempo stesso,
questo prezzo che soltanto un anno fa era tanto agognato, oggi non accontenta
nessuno… o quasi.
La situazione in Francia
Proviamo a determinare il
costo di un suino all’uscita della sala parto per una serie di ragioni
pratiche: il dato è più facilmente confrontabile perché si compone di
costi che, seppure diversi per entità, sono comuni tra le varie aziende; conoscere
il proprio costo di produzione del suinetto, è il primo passo fondamentale per
calcolare il costo di produzione complessivo.
Ancora una volta prendiamo
spunto da una pubblicazione francese in cui, nel corso del 2011, si sono
comparati 52 allevamenti operanti all’interno della stessa regione (Ille et
Vilaine).
Il primo dato interessante è
rappresentato dall’alta variabilità esistente tra i costi stessi. Infatti a
fronte di una media di 32 €/suinetto prodotto, i costi oscillano dai 23 ai 43
€/suinetto. Tale aspetto contiene già una nota positiva: indica, infatti, che
margini di manovra esistono per coloro che desiderano essere più virtuosi.
In figura 2, si evidenzia come
si distribuiscono all’interno della classica “torta” le principali voci di
costo. Ovviamente le spese alimentari sono le più elevate (32%), seguite da
manodopera (20%) e ammortamenti (14%).
Ciò che risulta ancora più
interessante, è rappresentato dall’analisi dello scarto tra il 10% degli
allevamenti a maggiore e il 10% degli allevamenti a minore costo di produzione.
Ebbene, circa un terzo delle differenze sono costituite dagli ammortamenti, il
20% dai costi alimentari e il 10% dai costi di rimonta.
In particolare, quindi, sono
gli ammortamenti a recitare una parte importante soprattutto per gli
allevamenti di recente costruzione, o per quelli che hanno dovuto investire
recentemente (ad esempio per ottemperare alla normativa sul benessere animale).
Essendo impossibili o quasi da
modificare (salvo intervenire sulle tempistiche di riparto), l’unico strumento
nelle mani dell’allevatore per abbatterne l’incidenza, è rappresentato dall’aumento
della produttività. Diverso, invece, è il discorso relativo ai costi alimentari
che possono essere contenuti non solo dall’ovvio miglioramento produttivo, ma
anche attraverso il ricorso a programmi alimentari più idonei, riduzione degli
sprechi, controllo del microclima in stalla e così via. Per quanto riguarda la
manodopera, va detto che in un allevamento a ciclo chiuso in Francia vi è un
rapporto di un’unità lavorativa ogni 115 scrofe ossia 20,6 ore/scrofa (di cui
quasi il 60% sono richieste da gestazione e maternità).
Anche in questo caso la
riduzione dei costi passa per un’ottimizzazione dell’organizzazione del lavoro
(ad esempio gestione a bande), layout aziendale che consenta di risparmiare
tempo nelle operazioni di movimentazione delle scrofe (entrata/uscita dalla
sala parto, spostamento in box, ricerca calori).
Il contesto italiano
Per poter paragonare l’indagine
francese con la situazione italiana, proveremo a ipotizzare quello che
mediamente poteva essere il costo di produzione di un suino svezzato in Italia
nel 2011. Le differenze rispetto al 2012 in cui si è registrato il ben noto
aumento delle materie prime, sono comunque ridotte in considerazione del fatto
che l’incidenza dell’alimentazione nel sito 1 è sì importante, ma non assume le
proporzioni della fase di ingrasso in cui, l’indice di conversione per i pesi
elevati cui sono ingrassati i suini nazionali, registra un forte peggioramento
con la conseguenza di esasperare l’importanza dei costi alimentari.
In ogni caso si può ipotizzare
che relativamente alla scrofaia, l’aumento delle materie prime abbia portato
almeno nei primi otto mesi del 2012 un aumento della spesa alimentare di un
10-15% circa che in caso di 24 suini svezzati/anno significa un’incidenza sulla
produzione del suinetto svezzato di circa 1,25-2 €.
In tabella 1 si presenta il
costo di produzione del suino svezzato in Italia (per l’anno 2011). Il dato
trova pieno riscontro anche valutando altre fonti (tabella 2).
Giunti a questo punto si
desidera richiamare l’attenzione del lettore su tre parametri tecnici in grado
di coniugare più aspetti dell’efficienza aziendale. Ci si riferisce in
particolare a:
- kg di mangime scrofa/suinetto
svezzato;
- kg di suinetti
svezzati/scrofa/anno;
- kg di carne/gabbia
parto/anno.
Kg di mangime scrofa/suinetto
svezzato
L’aumento dei costi alimentari
a tutti noto, ha portato una maggiore consapevolezza relativamente al fatto che
la scrofa è in allevamento per produrre. Siccome il mangime rappresenta la voce
di costo preponderante e può essere inteso come il combustibile che permette
alla macchina di fare strada, è entrato nella pratica comune il conteggio dei
kg di mangime consumati dalla scrofa per suinetto svezzato.
Facciamo un esempio
chiarificatore: se in un determinato allevamento le scrofe mangiano 1.180 kg di
mangime/anno e svezzano mediamente 24 suinetti, il parametro kg di mangime
scrofa/suinetto svezzato sarà pari a 49,16. Viceversa, se a fronte di un consumo
annuo di kg 1.150 si svezzano 22 suini, il risultato sarà pari a 52,27 kg.
Il dato indica chiaramente
come sia fondamentale ottimizzare la produttività della scrofa, anche in
funzione del mangime che essa assume. L’aumento dei costi alimentari, ha contribuito
non poco a spostare l’attenzione dal numero di suini prodotti/ingrassati
(indipendentemente dal numero di scrofe), all’efficienza produttiva. Fino a non
molti anni fa, soprattutto in scrofaia, c’era la tendenza a mantenere un numero
di scrofe tale che garantisse un certo flusso di suini negli ingrassi,
indipendentemente da quanto esse producessero. Oggi questo non è più possibile
perché ogni scrofa in più consuma alimento, occupa un posto, richiede cure e
attenzioni e pertanto se ne giustifica la presenza solo se essa attraverso la
sua produttività si ripaga.
Kg di suinetti svezzati/scrofa/anno
Questo parametro nasce, invece,
dalla considerazione che la scrofa deve produrre suinetti sì, ma che al tempo
stesso divengano suini da macello. È noto che maggiore è il peso allo
svezzamento, tanto più rapido sarà l’accrescimento giornaliero di quei suinetti
che arriveranno all’epoca di macellazione prima o quantomeno con un peso
maggiore. Addirittura, in tal senso, si è visto come già il peso alla nascita
abbia un’influenza direttamente proporzionale sul peso di macellazione.
Detto questo, si capisce
perché il numero di suinetti svezzati è un dato fine a se stesso, o perlomeno
incompleto, se non accompagnato dal peso allo svezzamento. Una scrofa produce
suinetti non per vincere attestati o medaglie, ma per dare un reddito all’allevatore
che si concretizza nel momento in cui i suini salgono sul camion per essere
destinati al macello.
Fatta questa doverosa premessa,
si capisce perché diventa importante collegare il numero di svezzati/anno con
il loro peso. Volendo anche in questo caso fare alcuni esempi, si dirà che
innanzitutto è necessario dividere tra allevamenti che mediamente svezzano a
tre settimane (avvantaggiati sul numero di parti/scrofa/anno, ma penalizzati
sul peso allo svezzamento), rispetto agli allevamenti che svezzano a quattro
settimane (che viceversa godono di un peso allo svezzamento maggiore, anche se
ne risentono sui cicli/anno).
Tralasciando per un momento la
normativa relativa al benessere animale e supponendo, anche se non è
completamente vero, che svezzare a 21 giorni o a 28 abbia ripercussioni
soltanto sull’interparto, ipotizziamo il conto seguente:
(365 / 153) x 11 (sv.) x 7,6
(kg) = 198,9 kg
(365 / 146) x 11 (sv.) x 6,2
(kg) = 170,5 kg
Nel primo caso si svezzeranno
meno suinetti su base annua. Però, per il peso maggiore raggiunto a 28 giorni,
la scrofa potrà svezzare un numero maggiore di kg annui. Nel secondo caso, invece,
a fronte di una maggiore produttività si avranno meno kg di carne prodotti
dalla scrofa.
Kg di carne/gabbia parto/anno
Ultimo parametro di cui ci
occupiamo, è rappresentato dai kg di carne/gabbia parto/anno. Essendo le gabbie
parto le strutture più costose all’interno dell’allevamento, sarebbe buona
norma ammortizzarle il più possibile. Anche in questo caso la suddivisione tra
svezzamento a 21 giorni o a 28 giorni è doverosa perché incide, non solo sul
peso allo svezzamento, ma anche sul numero di cicli annui che possono essere
effettuati. Ancora una volta un esempio servirà per chiarire le idee:
365: 28 (totale giorni di
occupazione gabbia con svezzamento a 21 d) = 13,03 cicli annui di ciascuna
gabbia
13,03 x 11 (sv.) = 143,3
suinetti svezzati da ciascuna gabbia/anno
143,3 x 6,2 (kg) = 888,5 kg di
carne/gabbia parto/anno
365: 35 (totale giorni di
occupazione gabbia con svezzamento a 28 d) = 10,42 cicli annui di ciascuna
gabbia
10,42 x 11 (sv.) = 114,6
suinetti svezzati da ciascuna gabbia/anno
114,6 x 7,6 = 870,9 kg di carne/gabbia
parto/anno
Conclusioni
Cosa fare in concreto allora? Non
esistono ricette, ma di seguito si forniscono alcuni capisaldi da cui partire:
1.
i margini
di manovra esistono anche sul costo di produzione del suino svezzato (in
Francia la forbice va da 23 a 43 €/suinetto, in Italia – fonte Sip Consultors –
la forbice va da 31 a 48 €/suinetto);
2.
l’entità
di ogni costo deve essere documentata e registrata per categoria (mangime, manodopera,
ammortamenti, elettricità e così via);
3.
i costi
una volta conosciuti devono essere paragonati con quelli analogamente sostenuti
da altri attori dell’industria (attività di benchmarking);
4.
ogni voce
di costo deve essere accuratamente esplorata alla ricerca di eventuali margini
di risparmio nella consapevolezza che il costo di produzione del suinetto
svezzato è costituito per il 35-36% dall’alimentazione, il 17% dalla
manodopera, 17-18% da interessi passivi e ammortamenti e per la restante parte
da altri costi: in altre parole, occorre ponderare bene dove si impiegano le
energie che portano alla riduzione del costo di produzione stesso;
5.
di pari
passo, oltre al controllo dei costi, diventa importante puntare l’attenzione
sui nuovi parametri di efficienza tecnica poc’anzi presentati, perché in grado
di unire al loro interno diversi aspetti che si possono tradurre al lato
pratico nel reddito dell’allevatore.
Allegati
- Scarica il file: Suinetti, il guadagno dipende dai controlli