La genetica italiana sta facendo passi da gigante nel settore suinicolo. L’obiettivo è rispondere alle richieste dei consumatori o degli allevatori? O entrambi?
«L’esperienza italiana riguarda la particolarità delle produzioni Dop, che sono ancorate alla tradizione, al territorio e alla loro diversità qualitativa – afferma Maurizio Gallo, direttore di Anas -. La risposta alla domanda può essere data proponendo quanto precisato dalla normativa dell’Unione europea sui regimi di qualità (Reg. 1151/2012) “la qualità e la varietà della produzione agricola...rappresentano un punto di forza e un vantaggio competitivo importante per i produttori dell’Unione e sono parte integrante del patrimonio culturale e gastronomico vivo. Ciò è dovuto alle competenze e determinazione degli agricoltori e produttori, che hanno saputo preservare le tradizioni pur tenendo conto dell’evoluzione dei nuovi metodi e materiali produttivi e che “sempre di più, i cittadini e consumatori dell’Unione chiedono qualità e prodotti tradizionali e si preoccupano del mantenimento della varietà della produzione agricola dell’Unione. Queste esigenze determinano una domanda di prodotti agricoli o alimentari con caratteristiche specifiche riconoscibili, in particolar modo quelle connesse all’origine geografica”».
«In altre parole – continua Gallo -, l’attività di miglioramento genetico per i prodotti Dop (prosciutti in primis) deve riuscire a conservare in modo efficace la loro “varietà” qualitativa e a rendere l’allevamento economicamente sostenibile per rispondere sia alle richieste dei consumatori che alle esigenze economiche degli allevatori. Rispetto ad altri sistemi produttivi, per le produzioni Dop le esigenze degli allevatori non si soddisfano attraverso una mera spinta della produttività per ridurre i costi unitari di produzione ma attraverso un approccio bilanciato che comprende il mantenimento del vantaggio competitivo derivante dalla qualità del prodotto, condizione indispensabile per fidelizzare il consumatore, e un miglioramento “biologicamente compatibile” dell’efficienza produttiva».
Dove è arrivata la genetica oggi in termini di sostenibilità ambientale, benessere animale e salute?
«In merito alla sostenibilità ambientale – afferma Gallo - è utile far presente che secondo i dati dell’inventario 2020 Ispra relativo al periodo 1990-2018 le emissioni in CO2 equivalente sono in diminuzione e l’agricoltura è responsabile appena del 7% del totale nazionale. Inoltre, la gestione delle deiezioni zootecniche sarebbe responsabile appena del 6% della produzione di particolato primario (PM10) mentre le fonti principali sono i riscaldamenti civili (55,2%) ed i trasporti (15,1%). In ogni caso la zootecnia e la
In ogni caso la zootecnia e la suinicoltura in particolare sono impegnate a fare responsabilmente la loro parte per ridurre le emissioni di Ghg. A questo riguardo tra il 1990 e il 2018 le emissioni di ammoniaca sono state ridotte del 23% ed entro il 2030, nel rispetto delle Direttiva Nec, dovranno essere ridotte di un ulteriore 16%. Il miglioramento genetico ha fornito e potrà continuare a fornire un importante contributo nella riduzione delle emissioni, che nel caso dei suini sono prevalentemente connesse alla produzione e gestione dei reflui. Il miglioramento genetico migliora di generazione in generazione l’efficienza alimentare, espressa dall’Indice di conversione alimentare (consumo di alimento per kg di peso vivo ottenuto).
L’effetto sull’impatto ambientale (diretto: reflui e indiretto: approvvigionamento mangimi) deriva dalla riduzione del fabbisogno di mangime a parità di output (peso vivo prodotto)».
«Per quanto riguarda le tre razze italiane per le Dop rispetto agli animali nati nel 1993 – aggiunge l’esperto - è possibile produrre 1 kg di peso vivo risparmiando 300 grammi di mangime. In ogni caso ci sono altri aspetti del miglioramento genetico che contribuiscono a rendere più sostenibile l’allevamento dei suini pesanti italiani. Si tratta del miglioramento dell’efficienza riproduttiva che punta a massimizzare il numero sostenibile di suinetti vivi producibili per scrofa nella carriera (longevità) e l’abbattimento delle perdite nel corso del ciclo di allevamento (mortalità, scarti, ecc.). La disponibilità di scrofe longeve riduce il fabbisogno di rimonta e quindi il carico animale allevato, analogamente la diminuzione della mortalità (suinetti morti sotto scrofa e nelle fasi successive) e degli scarti (morbilità, mancata idoneità qualitativa per le filiere Dop, ecc..) ha un positivo effetto sull’impatto ambientale».
«In merito alla sostenibilità per benessere e salute – prosegue Gallo - non c’è stata nei decenni scorsi una particolare attenzione nei programmi genetici. Anzi sono emersi alcuni effetti indesiderati di approcci che puntano alla massimizzazione delle prestazioni (per esempio lo spinto miglioramento genetico della velocità di crescita e del deposito di carne magra aumentano l’aggressività, riducono la robustezza, ecc..). Gli animali ottenuti con questo tipo di miglioramento genetico utilizzano prioritariamente le risorse per le funzioni produttive a scapito di funzioni che determinano il fitness e la salute (Bielharz – Teoria dell’allocazione delle risorse).
Inoltre, è stata dimostrata la depressione dell’attività del sistema neuroendocrino (Asse Hpa Hypothalamic Pituitary Adrenal Axis) che controlla la reazione agli stress, i processi di consumo ed accumulo dell’energia, il sistema immunitario, l’umore e quindi il comportamento. Oggi è diventato imperativo mettere a punto approcci che prevengano la comparsa di effetti indesiderati per migliorare la sopravvivenza e la resistenza/resilienza agli stress ambientali ed alle malattie. Per quanto riguarda l’esperienza italiana, va detto che la selezione per l’idoneità delle carni per la stagionatura ha imposto un approccio più rispettoso dell’equilibrio fisiologico degli animali. Grazie a questo per esempio è stato possibile ottenere indirettamente l’aumento della longevità delle scrofe, carattere direttamente connesso con il benessere e la robustezza. Inoltre, sulla base dei risultati innovativi di ricerche dell’Università di Bologna riguardanti i suini delle razze italiane è stato possibile avviare nuovi approcci che utilizzano informazioni di marcatori genomici associati a metaboliti coinvolti nel sistema immunitario e di altri che influenzano il comportamento per avviare la selezione assistita (Marker Assisted Selection) per la resistenza/resilienza alle malattie ed all’ambiente e per il comportamento docile degli animali, condizione importante per la socializzazione di gruppo e la prevenzione del taglio della coda».
Fino a che punto l’allevatore può considerare il miglioramento genetico come uno strumento utile per far aumentare i propri profitti?
«Ogni allevatore professionale – risponde Gallo - è oramai pienamente consapevole che non può prescindere dal costante miglioramento genetico della propria mandria per produrre in modo economicamente sostenibile il prodotto richiesto dal mercato».
Sembra che trasmettere al consumatore il valore del miglioramento genetico (operazione che sta a monte della filiera) non sia così semplice. Secondo la sua personale percezione, perché?
«Stiamo attraversando un momento storico nel quale è diffusa una certa diffidenza nei confronti della conoscenza scientifica e dei progressi della tecnica. Si tratta di un problema socio-culturale serio, che potrà essere contrastato investendo nell’istruzione e in una corretta e trasparente divulgazione. In ogni caso, per quanto riguarda la realtà delle nostre produzioni Dop penso che si potrebbe incuriosire e fidelizzare il consumatore comunicando in modo comprensibile e accattivante la particolate biodiversità dei suini italiani e lo stretto legame con la storia e la cultura del territorio».
Il concetto del made in Italy sembra aver acquisito maggiore valore da quando il coronavirus ha fatto il suo ingresso nelle nostre vite. Si aprono nuove opportunità per il settore suinicolo in termini di selezione?
«La pandemia ha tra l’altro messo in discussione alcuni aspetti dell’economica globalizzata. Le produzioni Dop sono un modello alternativo a quello globalizzato che ha favorito in molti settori processi di delocalizzazione produttiva. È difficile fare previsioni che potrebbero essere affrettate – aggiunge il direttore di Anas -, ma sicuramente ci sono nuove opportunità per rafforzare il concetto di made in Italy, facendo leva con maggior determinazione e coerenza sul valore della biodiversità genetica dei suini selezionati in Italia».
Quali traguardi all’orizzonte?
«Per la genetica italiana per le Dop, che sono l’asse portante della suinicoltura italiana, si tratta di una fase molto importante – afferma Gallo -. Dopo aver consolidato in più di un ventennio caratteristiche peculiari per produrre prosciutti e salumi di superiore livello qualitativo, le nuove conoscenze nel campo della metabolomica e della genomica hanno aperto la possibilità di intervenire nei programmi genetici su aspetti rilevanti per la sostenibilità e l’accettabilità nel medio periodo dell’allevamento suino. Il traguardo all’orizzonte è mettere a disposizione degli allevatori suini derivati dalle razze Large White, Landrace e Duroc italiane sempre più robusti, resilienti e docili. In questo modo – conclude il direttore di Anas - gli allevatori italiani potranno rispondere meglio alle richieste della società in ordine al rispetto di alti standard di benessere e di ridotto ricorso all’uso di antimicrobici».•