Psa: i vettori che non conosciamo

peste suina vettori
Il ruolo dei vettori indiretti nella diffusione della Psa è ben noto: calzature, strumenti, abbigliamento e veicoli ne sono un esempio. Tuttavia, poco si sa a proposito del possibile ruolo di piccoli animali selvatici, inclusi gli uccelli

Nel 2019, l’Efsa ha pubblicato un report scientifico che investigava le lacune nella conoscenza sulla Peste suina africana (Psa) così come erano percepite dai servizi veterinari dell’Ue e da altre parti interessate e coinvolte nella produzione di suini e nella gestione dei cinghiali. Lo scopo di quel rapporto scientifico era quello di identificare le lacune nelle conoscenze che, una volta affrontate, avrebbero potuto migliorare la gestione del rischio di Psa a breve termine e di facilitare il processo decisionale basato sull’evidenza attraverso la prevenzione della diffusione della Psa. Tra queste lacune, vi era quella sul ruolo di potenziali vettori nella trasmissione della Psa che, un paio di anni dopo, è stato oggetto di un parere Efsa specifico che oggi appare quanto mai attuale.

Per affrontare la tematica della trasmissione della Psa tramite vettori, il gruppo di lavoro Efsa e le reti più ampie di esperti sulla Psa hanno proposto 11 obiettivi di ricerca specifici, di cui sei sono risultati essere prioritari. Tra questi, la possibile trasmissione della Psa da parte di uccelli sinantropici.

Il ruolo degli uccelli sinantropici

In generale, è ampiamente accettato che il virus della peste suina africana venga trasmesso attraverso il contatto con animali e fomiti infetti, o tramite il morso di una zecca molle nelle aree dove questa è presente (non in Italia!). La diffusione attraverso diversi territori geografici avviene invece attraverso movimenti di cinghiali e suini domestici infetti, ma anche con prodotti suini contaminati.

Anche la velocità di diffusione della Psa è risaputo essere dipendente da vari fattori legati

  • all’ospite,
  • al virus
  • e all’ambiente.

Come misurare la velocità di diffusione della peste suina africana

Una misura epidemiologica importante per stimare la velocità di diffusione della malattia è il numero riproduttivo di base (R0), che rappresenta il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile, cioè mai venuta a contatto con il nuovo patogeno emergente. Questo parametro misura la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva.

Esistono diversi studi sull’R0 per la Psa, calcolato in condizioni di campo o sperimentali, sia all’interno dell’azienda agricola che tra diverse aziende agricole. È chiaro che la trasmissione all’interno dell’allevamento è correlata principalmente alla trasmissione “da maiale a maiale”, poiché il virus viene escreto in dosi elevate attraverso la saliva, l’urina o le feci. Tuttavia, i meccanismi di trasmissione tra allevamenti sono più complessi e sono state dimostrate o suggerite diverse vie.

Animali spazzini

Una via di trasmissione che presenta ancora lacune di studio potenzialmente rilevanti per la diffusione della malattia è la trasmissione “da fomite a maiale”. Esistono molti studi che hanno concluso che il virus della Psa può persistere per diverse settimane nel sangue, nelle feci e nelle urine contaminati escreti nell’ambiente. Essendo che il virus può sopravvivere e rimanere infettivo per 15 giorni a 21 °C, il ruolo dei fomiti (ovvero degli oggetti inanimati che si contaminano) è dimostrato essere rilevante nel contesto di allevamento e in quello selvatico. Un esempio sono gli strumenti di lavoro, l’abbigliamento, le calzature ed i veicoli, che devono necessariamente ricevere delle attenzioni imprescindibili in un buon piano di biosicurezza contro la Psa.

Leggi anche: Psa: materiali e strumenti a rischio di contaminazione

Tuttavia, secondo il report Efsa del 2021, il ruolo degli animali non suscettibili alla Psa (dunque diversi dal cinghiale) quali vettori indiretti esattamente alla stregua dei fomiti inanimati non è mai stato chiaramente dimostrato. In particolare, il ruolo degli uccelli nella diffusione della Psa è stato studiato molto poco.

Uno studio tedesco ha suggerito (ma mai confermato!) il potenziale ruolo più in generale dei vertebrati che si nutrono di carcasse di cinghiali (Probstet al., 2019). Tra gli uccelli considerati dallo studio, i corvi imperiali (Corvus corax) e le aquile di mare coda-bianca (Haliaeetus albicilla) erano le specie più comunemente trovate a contatto di carcasse di cinghiali e maiali. Il ruolo degli animali spazzini nella trasmissione delle malattie, inclusa la Psa, è stato suggerito anche in Spagna (Carrasco-Garciaet al., 2018). Tuttavia, nessuno degli studi ha valutato la presenza del virus sul e nel corpo degli animali spazzini.

Gli uccelli come i fomiti?

Un altro gruppo di uccelli che merita attenzione, sempre secondo il report Efsa 2021, ma non è mai stato valutato per il suo potenziale di diffusione della Psa, è quello degli uccelli sinantropici.

I passeri (Passer spp.), i piccioni (Columba livia domestica), la tortora dal collare (Streptopelia decaocto), i corvidi (Pica pica, Corvus spp.) e i gabbiani (Larus spp.) sono gli uccelli sinantropici più comuni in Europa (Dipineto et al., 2013). Il loro ruolo come vettore di infezione è stato dimostrato per vari altri agenti patogeni (ad esempio Salmonella o Escherichia coli – deOliveira et al., 2018). Tuttavia, il rischio di diffusione del virus della Psa da parte degli uccelli sinantropici dovrebbe essere studiato, considerando la sopravvivenza del virus della Psa nell’ambiente, la presenza quasi permanente di tali uccelli sinantropici nelle aree cortilive degli allevamenti rurali tradizionali, la presenza di questi animali nei parchetti esterni dei suini durante i focolai di Psa nel domestico e successivamente all’abbattimento, e la pratica rurale ampiamente diffusa di detenere pollame domestico libero nelle immediate vicinanze dei luoghi di detenzione dei maiali che può attirare gli uccelli sinantropici.

Gli animali sinantropici

Sono da considerarsi animali sinantropici tutti quegli animali che, benché non siano addomesticati dall’uomo, condividono con lo stesso nelle aree urbane o le zone residenziali.

Tra gli esempi di animali sinantropici si includono i roditori, i piccioni, i passeri, i gabbiani, tortore e colombi, merli, blatte, zanzare, formiche, scoiattoli, pipistrelli, nutrie e qualunque altro animale selvatico sia facilmente ritrovabile nei contesti urbani.

Servirebbero approfondimenti di ricerca

Gli uccelli sinantropici si muovono liberamente tra le strutture nelle aree rurali e, secondo il report Efsa del 2021, potrebbero potenzialmente contribuire alla diffusione del virus della Psa attraverso la loro superficie corporea (principalmente le zampe) o diffondendo mangime e feci contaminate.

Gli uccelli sinantropici non sono una presenza comune soltanto negli allevamenti rurali di piccole dimensioni o all’aperto, ma lo sono anche attorno agli allevamenti di suini industriali, come osservato durante il processo di abbattimento in alcuni focolai (Efsa, 2021). Se tale ruolo fosse dimostrato, dovrebbero essere implementate misure aggiuntive per prevenire la diffusione del virus, compresa la tempestiva rimozione del mangime animale dopo le operazioni di abbattimento in un focolaio domestico, che potrebbe attirare uccelli sinantropici. Inoltre, andrebbe considerata l’opportunità di limitarne l’accesso alle strutture di allevamento (interne ed esterne). Anche gli alberi e altri elementi presenti negli allevamenti di suini possono attirare, ad esempio, alcuni uccelli per la nidificazione.


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Psa: i vettori che non conosciamo - Ultima modifica: 2024-09-26T12:13:41+02:00 da Barbara Gamberini

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