Tutto inizia alla fine degli anni ’90, quando un gruppo di allevatori locali decide di partecipare alla reintroduzione di questa razza autoctona quasi estinta, istituendo, nel 2000, il “consorzio di tutela della Cinta Senese”.
Nel 2012, la Cinta ha ottenuto dalla Ue il marchio di “denominazione di origine protetta” secondo le rigide norme del relativo disciplinare di produzione. Nel luglio 2015, il consorzio riceve dal Mipaaf l’incarico di svolgere attività di tutela a favore della relativa Dop. Infine, nel 2020, è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale Ue un’importante modifica al disciplinare, che consente di estendere la denominazione Dop dalla sola carne a tutte le porzioni commestibili della carcassa, e in particolare al lardo, rendendone ancora economicamente più vantaggioso l’allevamento.
Tale percorso, basatosi su di un approccio multidisciplinare e sull’azione coordinata di molteplici attori, costituisce dunque un modello vincente da indagare e illustrare onde favorirne l’esportazione in altre realtà, con gli adattamenti del caso. A tal fine, abbiamo posto alcune domande a Daniele Baruffaldi, attivissimo presidente del consorzio.
La creazione del consorzio
Presidente, sebbene in Italia ci siano diverse razze suine autoctone meritevoli di valorizzazione, solo per la Cinta Senese si è riusciti a creare un consorzio di tutela funzionale. Quali sono stati i principali attori che hanno avuto l’intuizione di far nascere il consorzio e la perseveranza di garantirne il successo?
«A tal proposito - ha risposto Baruffaldi - ritengo che i meriti principali vadano ascritti all’Amministrazione provinciale senese e all’Associazione provinciale allevatori (Apa) di Siena, ben supportata dall’Associazione nazionale allevatori suini (Anas). Infatti, tra i primi ad accorgersi del rischio di perdere un così importante patrimonio genetico e a introdurre iniziative coordinate di recupero e aggregazione di intenti, vanno annoverati Giovanni Pacini, ex dirigente dell’amministrazione provinciale di Siena e l’allora presidente Apa di Siena, Nicola Zanda, che non a caso è stato anche il primo presidente del nostro consorzio di tutela della Cinta Senese».
Gli obiettivi del consorzio Cinta Senese
Quali sono le finalità del consorzio? E chi vi può aderire?
«Gli obiettivi del consorzio - ha affermato il presidente - sono la valorizzazione e la tutela della razza (e dei prodotti che ne derivano), inclusa la promozione e l’informazione al consumatore e la cura generale degli interessi relativi alla Denominazione di origine protetta. L’accesso al consorzio è consentito a tutti coloro che partecipano al processo produttivo della denominazione oggetto di tutela. Per la filiera delle carni fresche, le categorie ammesse sono: allevatori, macellatori e sezionatori di carni fresche».
Numerose le adesioni
Oggi la filiera Dop della Cinta Senese conta quasi 90 allevamenti sottoposti a controllo, di cui ben 84 iscritti al consorzio: presidente, quali sono dunque le motivazioni che hanno convinto la grande maggioranza degli operatori ad aderirvi e a sostenerlo?
«La risposta è semplice: l’unione fa la forza!».
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Ci può dire qualcosa in più su queste iniziative?
«La Feserpae riveste un importante ruolo quale portavoce degli interessi delle razze allevate allo stato brado/semibrado nei confronti delle pubbliche amministrazioni, della comunità scientifica e di ricerca e degli enti privati. Questo sia nell’Unione europea che nei Paesi terzi, dove non vengono tenuti in considerazione dalle rispettive normative, tarate invece sulle classiche razze commerciali.
L’Oi sui suini neri - ha precisato il presidente del consorzio - si farà parte attiva nel promuovere progetti nazionali per incrementare sia la produzione delle carni e dei salumi del suino nero che la redditività delle aziende. Questo tipo di aggregazione è sollecitata anche dal Mipaaf, che in tal caso riuscirebbe a tarare e gestire sostegni economici più efficaci rispetto alla parcellizzazione sulle singole razze, che li ridurrebbe a importi singolarmente poco significativi».
«Più in generale - aggiunge -, puntiamo molto anche alla partnership con altri piccoli consorzi dell’agroalimentare, come quello del Vitellone bianco dell’appennino centrale Igo o della Finocchiona Igp, i quali hanno problematiche comuni, diverse da quelle dei grandi consorzi e più simili alle nostre, tant’è vero che ci stiamo ripromettendo di lanciare l’idea di costituire una associazione che accolga tutti i piccoli consorzi di indicazione geografica».
Il mercato della Cinta Senese
Qual è la situazione del mercato e quali le criticità dell’allevamento e della produzione ?
«L’odierna contingenza vede purtroppo un trend in leggero calo - ha affermato Baruffaldi -, sostanzialmente a causa delle incertezze di contesto derivanti dalla pandemia e dalle restrizioni indotte dalla profilassi sanitaria per combattere la Brucellosi e per acquisire l’indennità dalla malattia di Aujeszky. Da un punto di vista strutturale, invece, il vero problema è che la Cinta Senese attualmente ha una produzione talmente ridotta che non si riesce a stabilizzare e gestire il mercato: da un lato anche un modesto aumento non programmato del quantitativo riesce a deprezzare l’offerta, dall’altro i limiti produttivi scoraggiano gli investimenti dei trasformatori e distributori, limitando le potenziali strategie commerciali che la domanda potrebbe richiedere. Eh sì! il vero paradosso è che la nostra offerta si esaurisce subito e non è in grado di soddisfare la forte richiesta. Vi faccio due esempi illuminanti di richieste che abbiamo dovuto declinare: dal Giappone è da poco arrivata una richiesta di fornitura di 80 t di carne/anno; analogamente abbiamo richieste di trasformatori per almeno 150 capi al mese solo per lanciare il prodotto, ma con la condizione di avere dopo poco almeno il raddoppio del quantitativo che garantirebbe i necessari margini di esercizio».
Su cosa puntare
Quali dunque le priorità del consorzio?
«Coerentemente con il contesto che ho appena descritto, le politiche consortili mirano sostanzialmente ad aumentare il numero e le potenzialità produttive degli attuali allevatori, integrandoli in una strategia comune di distribuzione e promozione dei prodotti. È chiaro che non ha senso creare ulteriore domanda se quello che manca è proprio l’offerta. Anche a costo di sembrare velleitario, io sostengo che si debba arrivare a decuplicare la produzione, perché la domanda è 10 volte superiore all’offerta! Una volta raggiunta la necessaria massa critica saremo in grado di governare la filiera e guidare il mercato, senza scompensi».
Leggi l'intervista completa sulla Rivista di Suinicoltura n. 1 2021