Il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) ha recentemente pubblicato un dossier intitolato “Guerra in Ucraina: gli effetti sui costi e sui risultati economici delle aziende agricole italiane”. Prendendo spunto da questo interessante documento, si cercheranno di riassumere gli aspetti più importanti che toccano da vicino la realtà agro-zootecnica nazionale.
In particolare, si farà specifico riferimento agli incrementi dei costi di produzione legati a: carburanti, combustibili, fertilizzanti, sementi e piantine, prodotti fitosanitari, mangimi e noleggi passivi.
Qualche dato consente rapidamente di inquadrare la problematica e far capire al lettore come e perché l’invasione russa dell’Ucraina abbia sconvolto i mercati energetici ed agricoli. La Russia, infatti, produce il 23% del gas naturale mondiale e fornisce circa il 40% del gas naturale consumato nell’Unione europea. Il forte aumento del gas naturale ha avuto anche un grande impatto sul costo dei fertilizzanti azotati, in quanto il gas stesso costituisce la materia prima essenziale per la produzione di tali fertilizzanti. Essendo poi un importante esportatore di petrolio, si comprende come le sanzioni nei confronti della Russia abbiano contribuito, insieme ad altri fattori che non interessa approfondire in questa sede, a far aumentare il prezzo del greggio di oltre il 60% da inizio anno.
I forti aumenti registrati a più riprese nel campo energetico sono da considerarsi il motore principale che ha scatenato l’inflazione nei prodotti alimentari. Infatti, l’invasione dell’Ucraina ha innescato una serie di shock di approvvigionamento diretti e indiretti ai mercati delle materie prime. Anche in questo caso, un po’ di numeri ci aiutano a capire: Russia e Ucraina rappresentano insieme oltre il 30% del commercio mondiale di frumento e orzo, il 17% del mais ed oltre il 50% dell’olio di girasole, nonché una quota significativa della soia non ogm.
Variazioni attese dei prezzi dei fattori produttivi
Per le 6 voci di costo considerate (fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi e piantine, prodotti fitosanitari e noleggi passivi), l’impatto che conduce ad un aumento dei costi correnti si calcola sia nell’ordine del 61%.
Si stima che l’impatto dell’impennata dei prezzi pagati dagli agricoltori sul complesso delle aziende facenti parte dell’indagine superi i 9 miliardi di euro.
In tabella 1 si osservano le variazioni percentuali su base annua dei prezzi dei fattori produttivi considerati.
Come si vede, i fertilizzanti azotati rappresentano la componente dei costi che ha fatto registrare il maggior incremento di spesa rapportata su base annua.
Per quanto riguarda l’aumento registrato nei mangimi, esso fa sentire i suoi effetti soprattutto sulle aziende che allevano suini e avicoli.
L’impatto generato sulle componenti economiche si riflette, per quanto in modo non uniforme, anche sui risultati reddituali delle aziende agricole esaminate, sia a livello di Valore aggiunto che di Reddito netto.
Effetti sui risultati economici aziendali
In relazione alla specializzazione produttiva, si registrano diversi effetti degli aumenti dei costi di produzione.
I maggiori incrementi percentuali dei costi correnti, compresi tra il 76 e l’80%, si verificano nelle aziende specializzate in seminativi, cerealicoltura e ortofloricoltura, per l’effetto congiunto dell’aumento dei prezzi dei costi energetici e dei fertilizzanti. Sempre al di sopra della media nazionale la crescita dei costi per le aziende specializzate nei fruttiferi, mentre poco al di sotto della media stessa troviamo le aziende di bovini da latte. Per gli altri allevamenti invece, abbiamo un incremento dei costi che si attesta al 54%.
Il calo medio del Valore aggiunto aziendale, definito come differenza tra i Ricavi totali aziendali (Rta) e i Costi correnti (Cc) è pari al -42% ma esso presenta un’elevata variabilità a seconda delle specializzazioni produttive.
Infatti, le tipologie più “energivore” (aziende con granivori) e quelle con elevato impiego di fertilizzanti subiscono un maggior impatto in termini di riduzione del Va (compreso tra il 50 e l’80%). Per contro, le specializzazioni produttive caratterizzate da elevati prezzi del prodotto (es orto-frutticole e vinicole) risultano subire in misura più contenuta la riduzione di Va, che comunque rimane significativa, in quanto si attesta intorno al 24%.
Nell’ambito di questa situazione, che evidentemente si presenta quantomeno pesante, si stima che negli orientamenti produttivi più colpiti (cerealicoltura e granivori) vi sia addirittura un 25% di aziende che si troverebbe nella situazione di non riuscire a coprire i costi diretti di produzione.
Più in generale, un’azienda agricola su 10 (il valore medio nazionale è del 13%) si troverebbe nell’incapacità di far fronte alle spese dirette necessarie per realizzare il proprio processo produttivo. Va detto che prima della crisi tale percentuale era del tutto irrilevante (≤1%).
Quel che è peggio è che le proiezioni fatte sulla base dei dati in entrata successivi a quello in cui l’attuale dossier è stato confezionato darebbero una situazione in ulteriore peggioramento, con le tipologie produttive più esposte che rischiano di passare dal 25 al 32%.
Si ritiene interessante, poi, far notare come siano soprattutto gli ordinamenti produttivi praticati dalle aziende agricole a condizionarne i risultati economici, piuttosto che altre caratteristiche strutturali come ad esempio la dimensione economica. Soltanto per le aziende economicamente più grandi si registra una leggera flessione, probabilmente riconducibile alle economie di scala che è possibile attivare.
Effetti sul Reddito netto
Infine l’analisi si è concentrata sulla stima degli effetti delle variazioni dei costi correnti aziendali sul Reddito netto aziendale (Rn) inteso come parametro economico di remunerazione di tutti i fattori produttivi apportati dall’imprenditore agricolo. Le stime evidenziano una possibile contrazione del Reddito netto dell’ordine mediamente del 61%.
Ovviamente le perdite di reddito variano in funzione dell’orientamento produttivo; le più penalizzate risultano essere le imprese specializzate in cerealicoltura, ortofloricoltura, seminativi e granivori. Vista l’attuale crisi, si potrebbe verificare nel medio periodo la sospensione, o peggio, la chiusura di molte aziende che trovandosi ad operare con reddito negativo saranno incapaci di coprire i costi fissi. In ogni caso, molti imprenditori non potranno fare investimenti e le aziende agricole subiranno un progressivo depauperamento dei propri capitali e delle proprie strutture produttive.
Unico aspetto positivo è che, al momento della realizzazione del presente studio, non potevano essere presi in considerazione perché ancora sconosciuti gli aumenti dei prezzi e dei servizi venduti dagli agricoltori, che potranno condurre ad un aumento dei ricavi mitigando la riduzione del Reddito netto, che comunque sarà ineluttabile.
In generale, le contromisure adottate per limitare i costi determinano purtroppo riduzioni nell’efficienza produttiva. Basta elencare alcune di queste soluzioni per capire quello cui si andrà incontro: impiego di una minore quantità di concimi a parità di budget di spesa preventivata, ricorso alla concimazione fogliare in sostituzione di quella solida, impiego di sementi meno costose e con performance produttive ridotte rispetto alle cultivar impiegate normalmente nella pratica aziendale, ecc. Per le aziende zootecniche dove i margini di manovra sono più contenuti, cresce il numero di imprenditori che dichiara di essere intenzionato a cessare l’attività imprenditoriale. Le aziende a Reddito negativo passano secondo l’analisi in oggetto al 34% su base nazionale, mentre prima dell’attuale crisi tale percentuale si attestava sul 7%.
Effetti a livello territoriale
Se si sposta l’analisi a livello territoriale si vede come le aree geografiche maggiormente interessate dagli aumenti siano quelle in cui sono più frequenti gli indirizzi produttivi più penalizzati come i granivori, cereali e altri seminativi e allevamento dei bovini da latte. Sono quindi le Regioni settentrionali (in particolare Lombardia ed Emilia Romagna) a far registrare le situazioni di sofferenza maggiori, mentre al centro-sud, fortunatamente, le variazioni reddituali seppur negative sono più contenute.
Anche le Regioni più vocate alla frutticoltura (inclusa olivicoltura), viticoltura e zootecnia estensiva (es. Trentino Alto Adige, Puglia), hanno effetti significativamente più bassi rispetto alla media nazionale.
Tab. 1 - variazione percentuale su base annua dei prezzi dei fattori produttivi considerati | |
Categoria di costo | Variazione percentuale su base annua |
Fertilizzanti | 250% |
Mangimi | 95% |
Gasolio | 110% |
Sementi/Piantine | 95% |
Fitosanitari | 15% |
Noleggi passivi | 45% |