La risposta di Opas al blocco carne suina italiana in Cina

Opas
Valerio Pozzi, Ad Opas
"Credo che dietro l’episodio che stiamo vivendo ci possano essere logiche che superano i confini nazionali e rientrano in una sfera di rapporti fra Cina e Ue. La distruzione della merce di certo porterebbe a una profonda ferita per tutti gli allevatori nostri associati", commenta Valerio Pozzi, Ad di Opas

La recente notizia sul blocco cinese delle importazioni della carne suina italiana (leggi la notizia), considerata rischiosa per la diffusione del Covid, sta causando un danno rilevante al settore e all’agroalimentare italiano in generale. La decisione delle autorità cinesi, che risale allo scontro 3 gennaio, ha provocato la reazione delle associazioni di categoria e degli amministratori locali. Tra questi, la prima organizzazione di settore a essere coinvolta è Opas (Organizzazione prodotto allevatori suini), la società cooperativa carpigiana che gestisce il più grande macello suino in Italia e che ha spedito le 50 tonnellate di carne congelata bloccate alla dogana cinese.

Abbiamo chiesto all’amministratore delegato di Opas Valerio Pozzi di fare un po’ di chiarezza sull’accaduto.

 

 

Dottor Pozzi, quali motivazioni crede ci siano alla base di questa accusa da parte delle autorità doganali cinesi?

 

Per la nostra realtà – dice Pozzi - risulta molto difficile entrare in una logica più generale e complessa come è il settore dell’agroalimentare italiano. Di certo possiamo immaginare che dietro l’episodio che stiamo vivendo – cioè il pretestuoso e infondato scientificamente blocco di carne di suino dopo che è stato riscontrato sul cartone e non sulla carne della positività al Covid   –  ci possano essere logiche che superano i confini nazionali e rientrano in una sfera di rapporti fra Cina ed Unione europea visto che sono coinvolte anche aziende tedesche, danesi e olandesi. Siamo però confidenti che le Autorità italiane che si sono fatte carico del problema e cioè, in primis, ministero degli Esteri e ministero della Salute stanno svolgendo un decisivo lavoro di squadra che riteniamo possa portare all’ottenimento di una positiva soluzione. Non dimentichiamo poi, di certo, anche quanto Assica, Coldiretti e Servizio sanitario della Regione Emilia-Romagna si sono impegnate in questa vicenda.

Opas

Ci può spiegare nel dettaglio quali potrebbero essere le conseguenze per l’intero settore?

Per quanto riguarda Opas – dice l’amministratore delegato di Opas -  non abbiamo ancora perso le speranze che la situazione possa essere risolta positivamente. Se così non fosse potremmo, però, essere davanti a un danno che potrebbe rivelarsi importante. La distruzione della merce porterebbe – se dovesse concretizzarsi – a  una profonda ferita per tutti gli allevatori nostri associati. Il prezzo che si può spuntare esportando in Cina infatti va a ristoro degli allevatori che possono avere una maggiorazione rispetto a quanto stabilito dai bollettini ufficiali. Tanto più che stiamo parlando di prodotti che in Italia hanno poco mercato e che invece i cinesi, come le zampe e le code, apprezzano molto. È questo il ruolo dell’Organizzazione di prodotto quale è Opas.

Si può quindi ipotizzare – continua Pozzi - che venga inficiata la legislazione europea che vede nelle Organizzazione di prodotto una realtà finalizzata al mercato: che lavora cioè a vantaggio del reddito degli agricoltori. Anche perché Opas è riconosciuta da tutti per la qualità del prodotto e la certificazione del processo produttivo. Opas è il maggiore macello di suini in Italia e si distingue per la serietà. Anche perché ci sono i danni – chiamiamoli – indiretti. Riguardano la filiera di persone occupate e dedicate a queste spedizioni: parliamo di decine di persone che si vedrebbero tolto il loro lavoro per una presunzione di colpa che non ha – ripete l’Ad di Opas – fondamento scientifico. In tutto ciò cerchiamo di rimanere ottimisti perché questo dell’export in Cina è un business nuovo partito dopo lunghe trattative diplomatiche. Adesso speriamo che la situazione possa trovare uno sbocco positivo: a oggi non abbiamo segnali concreti ma non vorremmo che – in caso contrario – altri settori e altre aziende dovessero sopportare danni simili ai nostri e così importanti anche dal punto di vista sociale per l’importanza – nel caso di Opas - dal punto di vista territoriale: cioè lavoro, integrazione e professionalità.

 

Come interpreta il mancato coinvolgimento di Opas nelle analisi svolte alla dogana cinese?

OpasNon è semplice entrare in logiche di governance così lontane, non solo culturali, ma anche fisicamente lontane. Di certo – rimarca Pozzi - sarebbe stato quantomeno gradito un contradditorio magari non tanto con Opas ma con persone di Istituzioni europee o nazionali – presenti in Cina - in grado di verificare scientificamente  ciò che è stato contestato. Purtroppo è successo. Cerchiamo di andare avanti trovando una strada affinché non si ripetano queste situazioni, anche a tutela di altri prodotti italiani. Queste cose alla fine minano la fiducia in rapporti commerciali internazionali che invece dovrebbero basarsi su lealtà e reciproca soddisfazione commerciale: si dovrebbe sempre guadagnare in due oppure perdere tutti e due, ma sempre alla pari. Altrimenti è sola speculazione che impoverisce.

 

Proprio a dicembre la Commissione Ue ha deciso di assegnare a Opas un finanziamento di 3,6 milioni di euro per promuovere nei prossimi 3 anni la carne suina in Cina. Che ne sarà?

Riteniamo che il coinvolgimento della Commissione europea – a prescindere  dall’aspetto di mercato  che è e rimane fondamentale e prioritario – possa riguardare anche questo aspetto. Il Regolamento 1144/2014 è finalizzato all’aumento delle esportazione di prodotti a marchio europeo nel mondo. E ciò vale per tutti i settore dell’agroalimentare. Non solo per la carne suina. Non solo per l’Italia. Noi – sono sempre parole di Pozzi - oggi continueremo a soddisfare le richieste che sono previste dall’ufficializzazione della graduatoria per arrivare – pensiamo in tempi brevi – a poter iniziare le azioni che avevamo previsto nel progetto. Anche in questo caso rientriamo nel discorso delle Op che sono fra i beneficiari dei finanziamenti europei. Tuttavia avevamo già iniziato a pianificare insieme ad alcuni clienti cinesi proprio l’avvio di questo progetto e proseguiremo a farlo. Non vedo motivo per cui arrendersi davanti a questa prima difficoltà. Non saremo certo noi a rinunciare a unire commercialmente due culture diverse sfruttando questo progetto che ci serve per conoscere dei clienti che possono ancora diventare dei partners.     

 

Scontato pensare che farete di tutto per evitare la chiusura di questo mercato estero, ma come vi muoverete?

Ovviamente – conferma l’Ad, Valerio Pozzi -. Come Opas stiamo da tempo rivolgendo attenzioni al mercato internazionale a tutto tondo. Già oggi nel fatturato annuale abbiamo una quota importante – attorno al 10% - che va per i mercati internazionali; ciò escludendo i prodotti precotti ad alto servizio a marchio Eat Pink che  - per ora - sono sempre più apprezzati dal consumatore italiano. Vogliamo incrementare quindi le esportazioni. L’intendimento è di portare il prodotto che deriva da capi nati, allevati, certificati e macellati “made in Italy” dei nostri allevatori oltre i confini nazionali. Non credo che il mercato cinese chiuda all’Italia perché il prodotto italiano piace. Nel nostro caso sono mesi che esportiamo e abbiamo raccolto solo commenti positivi perché la nostra carne di suino ha una qualità e un prezzo adeguato alle loro aspettative. Quindi anche in Cina alla fine chi lavora e si comporta con serietà viene premiato e difficilmente ti chiudono la porta se ti sei sempre comportato in modo leale. Noi dobbiamo essere pronti perché prima o poi la vicenda del Covid finirà e con essa tutta una serie di sospetti commerciali che non ci riguardano.

La risposta di Opas al blocco carne suina italiana in Cina - Ultima modifica: 2021-01-11T11:15:59+01:00 da Mary Mattiaccio

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