Nel numero di ottobre ci siamo occupati nell’ambito dei cosiddetti Key Performance Indicators (KPI) della capacità di svezzare delle scrofe e, in particolare, dei giovani animali. Nella presente nota, invece, rivolgeremo la nostra attenzione su altri parametri di efficienza tecnica quali: - Numero di suinetti prodotti in carriera: obiettivo ≥ 60 - Numero di suinetti svezzati entro il 3° parto: obiettivo 33-36 - Scrofette inseminate che raggiungono il 3° parto: obiettivo ≥ 75% Le ragioni per cui l’industria si è concentrata su tali fattori di produzione sono molteplici, noi ci soffermeremo ad analizzare le motivazioni principali che sono di ordine economico e sanitario. Al pari di ogni investimento, è previsto un costo che deve essere ammortizzato nell’arco del tempo attraverso la produzione di suinetti. Gli americani hanno calcolato che quanto speso per la scrofetta ed il suo mantenimento in allevamento, si ripaga solo se l’animale raggiunge almeno il 3° parto. In figura 1 si evidenzia come si evolva il costo per suinetto svezzato in funzione dei parti effettuati in allevamento. Ecco che quindi la produttività in carriera a tutti gli effetti può essere annoverata come KPI. Nel corso del tempo, però, anche in concomitanza con la comparsa di nuove patologie virali e la nascita dei sistemi di allevamento cosiddetti SPP (Segregated Parity Production), ci si è ricordati di un aspetto noto, ma in parte trascurato, e cioè che il patrimonio anticorpale delle scrofette è inferiore rispetto a quello delle scrofe e pertanto i figli delle primipare sono più soggetti ad ammalarsi rispetto ai figli delle pluripare. Proprio per questa immunità passiva più incompleta ricevuta dalla madre, è stato calcolato che le probabilità di morte o formazione di “scartini” in svezzamento è 3 volte superiore se compariamo i figli delle scrofe primipare con la progenie delle scrofe pluripare (J. Deen). In tabella 1 si presentano i risultati a confronto nella fase di svezzamento e ingrasso dei figli di primipare e scrofe pluripare con evidente vantaggio di questi ultimi sui primi in termini di accrescimenti, mortalità inferiori, minori spese per medicinali, ecc. Ne sono così scaturite 3 classi di longevità: bassa (≤ 4,5 parti medi), media (tra 4,5 e 6) e alta (> 6). Innanzitutto la media nazionale dei parti effettuati per scrofa riformata si attesta sui 5,4 dato che conferma una buona longevità delle scrofe in allevamento. In figura 2 si presenta la distribuzione nel dettaglio da cui emerge che il 23% delle aziende francesi riformano oltre il 6° parto, mentre il 18% di esse riformano in media al di sotto dei 4,5 parti. Ovviamente negli allevamenti a riforma più elevata la percentuale di animali giovani (1° e 2° parto) è più alta se comparata con gli allevamenti che riformano mediamente oltre il 6° parto rispettivamente il 43% ed il 31%. Ma la domanda che forse interessa maggiormente è la seguente, in che modo la longevità in allevamento influisce su performance tecniche ed economiche?. L’inchiesta francese fornisce la risposta al quesito e i dati sono presentati in tabella 2. Come ci si poteva attendere, gli allevamenti a più alto tasso di riforma, sono anche quelli meno produttivi (sia in termini di svezzati che di venduti scrofa/anno) e quindi più penalizzati anche da un punto di vista economico. Per quanto riguarda i restanti due gruppi a rimonta media e bassa, si può vedere un sostanziale equilibrio da un punto di vista produttivo, mentre il margine sul costo di alimentazione, rimonta e spese sanitarie, è leggermente favorevole agli allevamenti del gruppo centrale. A giudizio degli autori della ricerca, tali differenze sono da attribuire ad un probabile scadimento di alcune performance con il progredire dell’età della scrofa, che determinano questa perdita di “competitività” nei confronti degli allevamenti che ricorrono a tassi di riforma medi. Per quanto riguarda le problematiche riproduttive, si rimanda alla lettura di note analoghe relativamente a ricerca calori e inseminazione. In questa sede si desidera ricordare che comunque non va trascurata in tale ottica anche la preparazione della scrofetta al ruolo che avrà come fattrice in allevamento ricordando in particolare: - l’importanza della fase di acclimatamento prima dell’entrata in produzione; - la fecondazione al 2° calore osservato, con flushing alimentare 7-10 giorni prima della copertura stessa; - il peso alla copertura tra i 135 e i 150 kg; - il livello di grasso dorsale e il peso al momento del 1° parto conforme alle indicazioni della casa genetica; - la preparazione alla gabbia qualora da una situazione libera in box l’animale passi al momento del calore in situazione di contenimento. Altro fattore non trascurabile di riforma involontaria, è rappresentato dalla mortalità che per alcuni tipi genetici è maggiore rispetto ad altri (vedere per l’approfondimento box di lettura). Da non dimenticare inoltre la correlazione tra consumo di alimento, perdita di peso in lattazione e permanenza in allevamento. Una ricerca condotta nel 2006 ha mostrato come per ogni aumento di 900 grammi di consumo giornaliero di mangime, la probabilità di riforma della scrofa prima del parto successivo diminuisce del 30%.
Le ragioni economiche
Per l’allevatore l’acquisto della scrofetta (o la sua autoproduzione) è l’investimento per eccellenza. Infatti l’attività si basa sulla produzione dei suinetti che saranno venduti a pesi diversi a seconda della tipologia di allevamento, ma il motore di tutto è rappresentato dalla fattrice. Acquistata o autoprodotta, viene alimentata, è soggetta a trattamenti vaccinali, richiede manodopera per la somministrazione di cure, la ricerca dei calori, l’inseminazione, ecc.
Le ragioni sanitarie
Intorno alla fine degli anni ’90 si era diffusa la tendenza a ricorrere a tassi di riforma particolarmente elevati che raggiungevano livelli pari al 55-65%. L’obiettivo, infatti, era quello di massimizzare la produzione attraverso l’eliminazione dei soggetti maggiormente improduttivi (a prescindere da quanti parti avessero compiuto in azienda) e delle scrofe “vecchie” (oltre al 6° parto venivano sistematicamente eliminate).
L’inchiesta francese
Cosa dire allora? L’obiettivo è quello di mantenere le scrofe il più a lungo possibile? Per dare una risposta a quest’ultima domanda, ci viene in aiuto un’inchiesta francese condotta nel 2009 su oltre 1.033 allevamenti i quali sono stati ripartiti in funzione del numero medio di parti effettuati dalle scrofe prima della riforma.
Gli ostacoli alla durata
in carriera
L’ostacolo principale alla durata in carriera, è rappresentato dalla cosiddetta riforma involontaria legata soprattutto a problemi riproduttivi, all’apparato locomotore e alla mortalità delle scrofe.
Riforme involontarie
Al secondo posto tra le cosiddette riforme involontarie, vengono le problematiche legate all’apparato locomotore. È noto che nel tempo la selezione ha spino verso l’ottenimento di animali a masse muscolari sempre maggiori, mentre invece l’apparato scheletrico non ha avuto uno sviluppo adeguato se rapportato ai pesi raggiunti dagli animali (in particolare, le scrofe, che sono i soggetti chiamati alla maggiore longevità in allevamento). Oggi la tendenza si è invertita e tra gli obiettivi di selezione delle principali case genetiche la durata in carriera è divenuta una costante portando l’attenzione anche su robustezza degli arti, conformazione dei piedi e appiombi.
Conclusioni
In generale, la durata in carriera espressa attraverso il numero di suinetti svezzati (≥60) e la percentuale di animali che raggiungono il 3° parto (≥75%), sta riscuotendo presso gli allevamenti un’attenzione crescente. Alle aziende di genetica, ai mangimisti e ai tecnici d’allevamento il difficile ruolo di implementare tale aspetto che, come si è visto, può essere annoverato con pieno diritto tra i moderni indicatori di efficienza aziendale (KPI).
Allegati
- Scarica il file: Durata in carriera delle scrofe parametro di efficienza aziendale