Sotto l’aspetto legislativo
l’Italia ha ora recepito
correttamente la direttiva
Ue contro l’inquinamento
da nitrati di origine zootecnica.
Lo ha spiegato Joe Hennon,
portavoce del commissario Ue
per l’Ambiente, Janez Potocnik,
sottolineando che alla decisione
di ritirare le quattro procedure
d’infrazione sui temi ambientali
(oltre a quella sulla direttiva
nitrati anche sulle batterie
esauste, sulle acque di balneazione
e sulle inondazioni),
l’esecutivo Ue è arrivato verificando
la trasposizione delle relative
direttive nella legislazione
italiana. Per questo l’Unione
europea ha ritirato la procedura
d’infrazione scattata nel febbraio
2013 contro il nostro paese
per la violazione della direttiva
Ue sui nitrati.
Secondo il ministro dell’Ambiente,
Andrea Orlando, «le
quattro procedure d’infrazione
su questioni ambientali chiuse
definitivamente oggi a Bruxelles
sono una notizia positiva
per l’Italia» ma da oggi, con
tutte le carte in regola, potrebbe
ricominciare il negoziato con
Bruxelles per ottenere un alleggerimento
dei vincoli a carico
della parte più efficiente e produttiva
della zootecnia italiana,
gli allevamenti intensivi della
Pianura padana.
Il casus belli sulla direttiva
nitrati era scoppiato meno di
un anno fa, nel dicembre 2012
con il comma 7 quater dell’articolo
36 contenuto nella legge
di conversione del Decreto Sviluppo
che aveva sospeso per
un anno gli effetti della direttiva
europea sui nitrati stabilendo
la definizione di una nuova
mappa delle aree a vulnerabili,
ossia a rischio-inquinamento. Il
provvedimento stabiliva che, in
attesa di questa revisione, le
aziende agricole avrebbero potuto
distribuire nei campi fino a
340 chilogrammi per ettaro di
reflui zootecnici (il limite previsto
per le zone non a rischio
inquinamento) anziché i 170
previsti dalla direttiva nelle
aree vulnerabili a rischio di inquinamento.
L’Italia si è messa formalmente
in regola sulla direttiva
nitrati il 6 agosto scorso con
l’abrogazione (inserita nella legge
comunitaria approvata in
via definitiva) del contestato
comma 7 quater che va visto
come il tentativo di ridurre le
aree vulnerabili, quelle sottoposte
ai vincoli più pesanti in regioni
a vocazione zootecnica
come Lombardia Emilia Romagna,
Piemonte e Veneto.
L’obiettivo era quello di dimostrare
a Bruxelles le responsabilità
degli scarichi civili e industriali
sull’inquinamento da nitrati
e l’estraneità del settore
agricolo.
L’iniziativa era stata interpretata
da Bruxelles come una
violazione della direttiva Ue e
aveva innescato l’iter di messa
in mora del nostro paese. Dal
primo avvertimento formale
della Ue all’istruzione di un
«caso d’ufficio», preludio all’apertura
della procedura d’infrazione.
Il vero sblocco era arrivato
comunque alcuni mesi prima
dalle 4 regioni padane che avevano
deciso autonomamente di
non applicare il comma 7 quater
e successivamente avevano
confermato, seguite dalle altre
regioni italiane, gli stessi perimetri
delle aree vulnerabili ai
nitrati. Restava solo il passo formale
di abrogazione del provvedimento
per tornare al pieno
rispetto delle regole.
Soddisfatto il mondo agricolo
per la chiusura del contenzioso
con Bruxelles: «È una notizia
positiva – afferma Ettore
Prandini, presidente di
Coldiretti Lombardia – anche
se l’Italia continua ad applicare
parametri molto più restrittivi
rispetto a quelli di altri paesi
europei che presentano i loro
dati sulla carta in maniera diversa
». Per Mario Boselli, presidente
di Confagricoltura Lombardia,
«restano aperte diverse
questioni sulla direttiva – commenta
– ma almeno ci siamo
liberati da questa spada di Damocle
». Mario Lanzi, presidente
della Cia Lombardia, sottolinea
invece come si sia «perso
tempo prezioso per le imprese
perché si tratta di un problema
importante ancora da risolvere
per gli allevamenti italiani. Costringerli
a investire o ridurre la
produzione non è accettabile».
Approvata da Bruxelles nel
1991, la direttiva in Italia era
stata recepita in ritardo e in modo
non corretto secondo la
Commissione europea che aveva
aperto nel 2006 una prima
procedura d’infrazione contro
il nostro paese e costretto le
Regioni padane ad aumentare
le aree vulnerabili. In Lombardia
si era arrivati così a oltre
800mila ettari di aree vulnerabili,
in Veneto a 717mila ettari,
in Emilia Romagna a 661mila
ettari, in Piemonte a 390mila
ettari e in Friuli Venezia Giulia
a 183mila ettari Dopo un lungo
negoziato l’Italia aveva ottenuto
a partire dal primo gennaio
2012 una deroga che per 4 anni
consente di superare il tetto dei
170 chilogrammi di azoto per
ettaro l’anno per arrivare fino a
250, a Piemonte, Lombardia,
Veneto ed Emilia-Romagna.
La deroga viene concessa su
richiesta della singola azienda
per i reflui bovini (letami, liquami,
frazioni separate di liquami,
digestati da liquami, anche
in miscela con biomasse vegetali,
e chiarificati con ridotto contenuto
di azoto) e suini (per i
liquami per la sola frazione
chiarificata dopo trattamenti di
separazione solido dal liquido e
digestati da liquami assieme a
biomasse vegetali).