Una risposta concreta alla crisi della suinicoltura?
Può risiedere nell’innovazione di prodotto, dove il prodotto in questione è il tipo di suino da allevare. È il messaggio proposto agli allevatori dal convegno organizzato alla Rassegna suinicola di Reggio Emilia dalla Rivista di Suinicoltura, del Gruppo 24Ore. Dove si è detto: basta con il solito suino pesante da 160-175 kg; è ora di proporre ai macellatori e alla distribuzione anche nuovi tipi di suino, leggeri (100-110 kg) o intermedi (125-135 kg, nella foto).
La crisi del settore in Italia, per esempio, deriva anche da squilibri produttivi all’interno dei quali la preponderanza dell’allevamento del suino pesante gioca un ruolo di rilievo. Come ha spiegato il presidente dell’Anas (Associazione nazionale allevatori di suini) Andrea Cristini, «il 67,7% della produzione suinicola italiana è destinato al circuito tutelato, su quasi 13 milioni di capi allevati in Italia ben 8,7 sono suini pesanti nati e allevati per il circuito dop. Ma in Italia c’è un’eccedenza di 4,8 milioni di cosce, cioè di 2,4 milioni di suini. E da marzo a giugno il prezzo del suino pesante italiano è allineato a quello del suino leggero allevato negli altri Paesi Ue». Quest’ultimo però ha costi di produzione inferiori. In più «l’industria salumiera italiana dipende dall’estero per la produzione di salumi non dop: importiamo 63 milioni di cosce. Ma la zootecnia italiana non è in grado di produrre un numero di suini sufficiente per far fronte a questa domanda, servirebbero 32 milioni di capi».
E la crisi, continua Cristini, chiede alla suinicoltura italiana «di articolare gli indirizzi produttivi in base alle richieste della domanda, oggi suddivisa in numerosi segmenti. Per questo è necessario superare la stagione del suino pesante dop come “monoprodotto” per fare altre scelte produttive. La conversione di alcuni allevamenti dalla produzione del pesante dop a quella di un suino “intermedio” può contribuire a riequilibrare domanda e offerta nel circuito dop e può consentire ai suinicoltori di intercettare i segmenti di mercato esterni al circuito dop, oggi appannaggio del prodotto importato».
Di particolare rilievo poi i limiti del suino pesante sul piano merceologico. Aggiunge Moritz Pignatti, direttore dell’Italcarni di Carpi (Mo): «Tra le criticità del suino pesante c’è una scarsa uniformità: un esame su 750mila maiali macellati da Italcarni ha evidenziato che soltanto il 47% dei suini presenta caratteristiche di carnosità ottimali per fare prodotti dop; anche in termini di classi di peso il suino pesante è penalizzato da una variabilità eccessiva. E non si può parlare di qualità della carne se c’è scarsa uniformità».
Il suino intermedio invece «costituisce una vera opportunità, data la sua elevata attitudine alla produzione di carne e a una qualità a metà strada tra quella del suino di importazione e quella del suino pesante. La presenza media di carne è del 58%, contro il 49% del suino pesante. L’uniformità è elevata anche in termini di classi di peso: l’80% dei suini intermedi sta tra 125 e 140 kg, mentre nel suino pesante solo il 47,6% sta tra 156 e 176 kg».
Il suino intermedio vince il confronto con il pesante, continua Pignatti, anche guardando alla destinazione dei tagli: con il prosciutto del’intermedio si può fare sia cotto che stagionato che speck, mentre il prosciutto del pesante va solo allo stagionato; con il lombo si può fare sia carne fresca che elaborati che stagionati, e non soltanto carne fresca come per il pesante; la coppa del suino intermedio non va solo al salumificio, ma avendo meno grasso può esser destinata anche alla carne fresca o ai porzionati.
D’altra parte il trend dei consumi sembra lasciar spazio a una crescita, dice il responsabile carni di Coop Italia, Marco Guerrieri. Infatti «se nel 2010 abbiamo registrato un andamento negativo negli acquisti di carne bovina da parte delle famiglie, per quella suina l’anno si è chiuso con il segno positivo; bene soprattutto il secondo semestre. Coop fra l’altro è una delle poche catene che utilizzano carne di suino medioleggero, che ha meno grasso e che trova riscontro nelle richieste del consumo fresco».