“La filiera suinicola a confronto con le istituzioni per gestire la Psa” è questo il titolo della tavola rotonda protagonista della parte pubblica dell’assemblea generale dell’Organizzazione Interprofessionale Gran Suino Italiano che si è tenuta al Tecnopolo di Reggio Emilia il 4 giugno.
Al dialogo hanno partecipato due alti funzionari della Regione Emilia-Romagna:
- Valtiero Mazzotti, direttore generale Agricoltura Caccia e Pesca, e Giuseppe Diegoli, responsabile Settore Prevenzione Collettiva e Sanità Pubblica;
- insieme a: Cristiano Costantino Loddo, Responsabile politiche di filiera di Assica;
- Rudy Milani, presidente Federazione Nazionale di Prodotto Suinicola di Confagricoltura;
- Antenore Cervi, responsabile Allevamenti Suini di Cia Nazionale
- e Chiara Piancastelli, responsabile Ricerca e Qualità del Consorzio del Prosciutto di Parma.
A dire il vero poche, purtroppo, le novità concrete emerse dal dialogo tra le parti brillantemente moderato dal presidente dell’Organizzazione Interprofessionale, Guido Zama.
Allevamento e selvatico: problematiche da dividere
Unanime la volontà di rendere più solidale la filiera, che resta, al lato pratico, l’obiettivo più sfidante, specialmente di fonte a logiche commerciali che sono ad essa intrinseche.
«È arrivato il momento in cui non si possono più scaricare le responsabilità – ha commentato Milani – occorre un periodo lungo per affrontare il problema Psa. Gli allevatori di Alessandria, i primi colpiti, hanno gli allevamenti tuttora vuoti, il sistema caccia è estremamente complicato. Non siamo in condizione di trasferire false aspettative: come Confagricoltura stiamo facendo tutto il possibile affinché, sia a livello di normativa che dal punto di vista commerciale, sia possibile dividere chiaramente il suino domestico, dunque l’allevamento, dove la Psa non c’è, dal selvatico, ma la strada non è immediatamente percorribile. Non ci sono gli estremi per essere ottimisti, abituati a non arrenderci, abbiamo elevato la biosicurezza ai massimi livelli negli allevamenti».
Mazzotti ha sottolineato le possibilità offerte dai bandi regionali a tal fine e rilevato che l’ultimo bando ha avuto meno adesioni del previsto. Dalla sala è stato sottolineato come in molti non sfruttino quest’ultima opportunità perché hanno, di fatto, già provveduto.
La regionalizzazione potrebbe salvare l’export
«Dal punto di vista del commercio sui mercati esteri, stiamo lavorando con le Istituzioni – ha detto Cristiano Costantino Loddo – sia per la regionalizzazione che per il riconoscimento dei trattamenti inattivanti il virus. Le aziende, sia gli allevamenti che la trasformazione, hanno investito per poter per garantire sicurezza, ma ora subiscono danni economici pesanti. Dobbiamo fare in modo che i Paesi Terzi possano fidarsi, dando loro garanzie oggettive e misurabili».
«Condividiamo la preoccupazione - gli ha fatto eco Chiara Piancastelli - il mio ufficio, Ricerca e Qualità, si occupa in modo prioritario della Psa, collaboriamo con le Istituzioni e con il Ministero per le trattative di riapertura dei mercati nei Paesi Terzi. I primi Paesi ad aver limitato il nostro export sono stati Cina, Giappone, Taiwan e Messico, poi anche la Corea del Sud. Con la regionalizzazione, il Canada acconsente l’export agli stabilimenti in zona I, ma non a quelli in zona II. L’export verso gli stati Uniti è possibile con una serie di procedure e restrizioni previste dalla normativa statunitense.
Per il Prosciutto di Parma a lunga stagionatura si può fortunatamente fare un discorso diverso perché proprio la lunga stagionatura fornisce una maggiore sicurezza alimentare e una garanzia sanitaria simile a quella dei prodotti cotti. Studi fatti dimostrano che 400 giorni di stagionatura sono sufficienti a inattivare il virus della Psa.Dunque, questa tipologia di stagionatura ci ha permesso di riaprire i mercati di questo prodotto verso gli Usa, primo Paese verso cui esportiamo. Come Consorzio stiamo comunque registrando un danno da mancato export intorno a 25 milioni l’anno. Trasmetto la preoccupazione dei nostri 130 prosciuttifici consorziati».
La ricerca scientifica deve fungere da faro
Giuseppe Diegoli ha aggiunto: «il problema va affrontato su più punti: controllo cinghiali, commercializzazione, biosicurezza negli allevamenti, controlli sanitari nella filiera, aggiungerei anche con gli strumenti della comunicazione. Dobbiamo usare le competenze dell’Istituto Zooprofilattico e del settore dalla ricerca: non fermiamoci alle ricerche fatte fino ad ora. Le garanzie sanitarie sono uno strumento commerciale importantissimo. Dobbiamo avere una ricerca che garantisca i nostri prodotti a fronte delle richieste che ci vengono dagli altri Paesi, anzi, anticipare le esigenze di garanzie da parte dei Paesi, sapendo che è possibile che chiedano parametri diversi dai nostri. Ci farebbe piacere che ci fosse maggiore volontà di investire in tal senso. Abbiamo visto quanto è stato o utile avere pronto, nell’immediato, un lavoro che garantisce che la stagionatura del prosciutto inattiva il patogeno. Occorre, in prospettiva, un settore ricerca che affianca le aziende e poi a seguire la comunicazione in positivo».
«Il Consorzio del Prosciutto di Parma sviluppa già ora un’importante ambito di attività di ricerca scientifica - ha precisato Chiara Piancastelli - sia per quanto riguarda la tecnologia di processo che per la qualità del prodotto. Stiamo portando avanti studi sul trattamento con alta pressione, in parallelo, con altri studi, stiamo mantenendo aperti i mercati».
«Dobbiamo riaffermare la valenza del metodo scientifico», ha ribadito Cristiano Costantino Loddo. «La ricerca è sempre stata un faro – ha precisato Antenore Cervi - anche in allevamento e ricordo quanto fatto con i Goi (Gruppo operativo per l’Innovazione) nell’ambito dell’Interprofessione stessa, ma la filiera non è mai riuscita a dialogare. Se ci sono delle effettive penalizzazioni del mercato, non può essere l’allevatore che resta col cerino in mano. Come sono stati previsti indennizzi per i danni commerciali dovuti all’Aviaria altrettanto si faccia per chi ha i danni da Psa. Una proposta che dovrebbe servire da stimolo anche alle Istituzioni: o tiri fuori i soldi - ha pragmaticamente concluso - o risolvi il problema. Aggiungo un invito a Istituzioni e in particolare ai Servizi Veterinari: dove c’è certezza che si lavora rispettando le norme, dobbiamo poter trovare in loro un alleato, non un carabiniere».
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