Ad aprire l’evento, Loris Alborali dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna. L’intervento ha messo a nudo la delicata situazione epidemiologica del Bel Paese relativa al diffondersi della peste suina africana, malattia ad elevatissimo impatto economico sul sistema di produzione della carne suina in quanto influenza in maniera drastica la movimentazione e l’export dei prodotti dal territorio.
Fortunatamente, ad oggi non è stato registrato nessun nuovo caso di positività al virus negli allevamenti domestici, ed i precedenti focolai sono stati correttamente gestiti per arginare la problematica.
Quello che rappresenta invece ancora un problema è la diffusione del virus nella popolazione di cinghiali selvatici, con l’aumento inesorabile del numero dei casi e della loro distribuzione in un territorio sempre più ampio. Piemonte e Liguria detengono il primato del maggior numero di cinghiali ritrovati positivi al virus, ma Lombardia ed Emilia-Romagna vedono già casi sempre più numerosi al confine con le prime aree colpite.
Non vanno inoltre dimenticate le aree di Campania, Calabria, Lazio e Sardegna dove il virus è ugualmente presente nel cinghiale selvatico. Un quadro drammatico che sembra descrivere un’avanzata inesorabile della peste suina africana.
Grandi passi avanti con la biosicurezza in Italia
Se da un lato il contenimento della malattia sul territorio sembra presentare delle problematiche, negli ultimi due anni sono stati fatti passi da gigante relativamente alla biosicurezza negli allevamenti suinicoli. L’avanzamento delle misure di protezione delle aziende sul territorio si è ottenuto grazie ad un’intensa sorveglianza ufficiale, ma anche grazie all’autovalutazione aziendale tramite il portale Classyfarm. Ad oggi, il percorso di miglioramento degli allevamenti suinicoli è riuscito a raggiungere con dei corsi di formazione professionale e specifica sulla peste suina africana il 68% degli allevamenti sull’intero territorio italiano, con un’impennata negli ultimi mesi. Inoltre, ben il 61% degli allevamenti ha installato delle zone filtro efficienti per l’ingresso di personale e visitatori in allevamento.
In questo percorso di miglioramento della condizione italiana degli allevamenti di suini, non va sottovalutata l’importanza non soltanto relativamente alla gestione della peste suina africana, ma al beneficio che il singolo allevamento ottiene nella gestione anche di altre malattie endemiche o più comuni. Basti pensare alle forme respiratorie veicolate dal virus della prrs, e a tutte le altre infezioni batteriche che oggi flagellano la sanità aziendale e che restano fuori dall’allevamento con una corretta biosicurezza esattamente come resta fuori la peste suina africana.
L’evoluzione del settore ha un costo
Se da un lato la situazione epidemiologica in Italia ha richiesto sforzi di gestione da parte di tutte le figure in gioco, dall’altro non vanno dimenticati i maggiori costi a cui gli allevatori sono andati incontro per far fronte all’emergenza. Ne ha parlato Maurizio Gallo, direttore di Anas. A rincuorare i proprietari di aziende suinicole vi è l’evidenza che, nell’ultimo anno, il prezzo del suino è stato di gran lunga superiore ai costi sostenuti per la sua produzione, con un buon margine lordo di allevamento (fig. 1).
Tuttavia, le sfide poste dai costi di produzione del suino pesante permangono, capeggiate dai vincoli disciplinari di produzione del Dop e dalla volatilità dei prezzi delle materie prime, dell’alimentazione e dell’energia.
Per ridurre il costo di alimentazione, anticipare la macellazione
Il costo di produzione del suino pesante italiano è rappresentato per il 63% dall’alimentazione (fonte Report InterPIG di dicembre 2023). Sembra un controsenso consigliare di anticipare la macellazione degli animali per ridurre il costo alimentare, quando il Dop chiede espressamente i 9 mesi di vita per la macellazione. Tuttavia, soltanto il 57% dei suini macellati in Italia nel 2023 aveva “soltanto” 9 mesi di vita. Il 32% degli animali è stato macellato il mese successivo, e la restante parte ha raggiunto il macello dagli mesi in su. Addirittura, ci sono suini che sono stati macellati a 16 mesi (fonte Rift). Seppur macellati con peso maggiore ad età maggiori rispetto ai 9 mesi, la spesa alimentare (e non solo!) per il raggiungimento di quel peso mina il margine di guadagno dell’allevamento.
Troppa mortalità durante la fase di allevamento
Soltanto il 71,4% dei suini tatuati si dimostra davvero conforme al Dop. Questo dato sottolinea come le perdite di animali durante il ciclo sono importanti. Queste perdite non sono rappresentate soltanto dall’esclusione di suini non conformi dopo la macellazione, ma anche dalle perdite tra il tatuaggio e la macellazione, ovvero dovute alla mortalità in allevamento. Naturalmente non si può fare una diagnosi nazionale delle motivazioni che portano a queste perdite durante il ciclo produttivo, ma il dato fa emergere un problema che, potenzialmente, ha origini gestionali e sanitari in azienda. Senza dimenticare pesanti aspetti epidemiologici legati anche alle malattie infettive citate da Loris Alborali nella presentazione precedente, ovvero la Prrs come flagello sanitario del Belpaese e di altri Paesi europei.
…e troppe perdite per inidoneità delle cosce
Alle perdite accumulate durante la fase di allevamento, si aggiungono le perdite di cosce che arrivano al macello ma non sono idonee per essere omologate al Dop. Si tratta di circa il 23,2% delle cosce, un numero che può passare inosservato ma che rappresenta perdite economiche da capogiro. Tra queste cosce, più del 70% è rappresentato da pezzi che non rientrano nella corretta classificazione della carcassa. Al secondo posto, ma con un notevole distacco (18,6%), i pezzi che vengono esclusi per peso. L’8,2% viene invece escluso per problemi legati al tatuaggio.
Trasportare i suini costerà di più
Nel quadro nazionale descritto al Pork Summit, non poteva mancare una riflessione sui costi legati all’incremento del benessere animale in allevamento. Parallelamente al piano di azione nazionale sul taglio coda, ci sono infatti anche altre novità che si prospettano per l’immediato futuro degli allevamenti. Ne è un esempio la proposta recentissima (dicembre 2023) della Commissione europea sui trasporti, che imporrebbe un aumento considerevole dello spazio a disposizione di ciascun suino durante il suo viaggio su gomma. Per un lattone di 25 kg la richiesta di aumento di spazio è del +27,8%, mentre è del +23,5% per un grasso di 175 kg. In caso di temperature oltre i 30 °C inoltre, è previsto un ulteriore aumento.
E se abolissero le gabbie parto?
Se la nuova Commissione europea, che dovrebbe stabilirsi nel 2024, dovesse procedere con quanto promesso negli ultimi anni abolendo l’utilizzo delle gabbie parto in scrofaia, si prevede una diminuzione della produzione nell’Unione Europea, con relativo aumento dell’import. Il costo di produzione salirebbe così come il prezzo del consumo, riducendo gioco-forza il margine di allevamento. Naturalmente l’impatto di queste variazioni sarebbe più o meno intenso a seconda della durata del periodo di transizione che ogni nuova legislazione mette in essere, e sarebbe minimizzata da una durata di 20 anni. In ogni caso la preoccupazione è palpabile a tutti i livelli produttivi nei Paesi europei. In un lavoro condotto dal Crpa nel 2021, si è stimato che l’aumento del benessere in allevamento costerebbe circa 40 euro a capo, per raggiungere i 94 euro nei casi più estremizzati (parametri di benessere ottimali). Per lo più, l’aumento dei costi stimato dal Crpa sarebbe legato agli ammortamenti, ai servizi ed ai materiali.
Leggi l’articolo sulla Rivista di Suinicoltura 2/2024
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