In Lombardia, circolare per mobilitare letame e liquami

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Per fare chiarezza sul recente protocollo per la movimentazione di sottoprodotti di origine animale da e verso le zone soggette a restrizioni abbiamo intervistato Rudy Milani, presidente dei suinicoltori per Confagricoltura

È del 12 settembre scorso la circolare del Dirigente Marco Farioli con cui la Direzione Generale del Welfare Lombardia ha diffuso le procedure e i protocolli per la movimentazione di suini e dei sottoprodotti di origine animale (SOA) dalle zone di protezione e di sorveglianza.

In particolare, per quanto riguarda letame e liquami, l’allegato dedicato riporta il protocollo specifico che contiene le condizioni per il rilascio, da parte dell’Ats competente sull’allevamento di partenza, delle autorizzazioni alle movimentazioni in deroga ai divieti di cui al Reg (UE) 2020/687.

Movimentazione di SOA in Lombardia

Per quanto riguarda la movimentazione di letame e liquami, il protocollo stabilisce che:

“L’Ats autorizza la movimentazione di letame, comprese le lettiere e il materiale da lettiera e di liquami attraverso, da e verso la zona soggetta a restrizioni (zona di protezione e zona di sorveglianza) nel rispetto delle seguenti condizioni:

  • con mezzi registrati ai sensi del Reg. 1069/09 per il trasporto di SOA di categoria 2;
  • con mezzi costruiti e mantenuti in modo da evitare perdite e puliti e disinfettati con disinfettanti efficaci contro il virus della Psa immediatamente dopo ogni trasporto e, se necessario, disinfettati di nuovo successivamente e, in ogni caso, asciugati o lasciati asciugare prima di qualsiasi nuovo carico;
  • senza soste o operazioni di scarico nella zona soggetta a restrizioni;
  • privilegiando le principali vie di comunicazione stradale ed evitando le vicinanze di stabilimenti che detengono suini;
  • con mezzo di trasporto dotato di sistema di navigazione satellitare. In alternativa, per determinate situazioni stabilite dal servizio veterinario localmente competente, può essere autorizzata la sigillatura del mezzo di trasporto da parte del veterinario ufficiale.

L’Ats può autorizzare l’invio di letame, compresi le lettiere e il materiale da lettiera, e i liquami da stabilimenti situati nelle zone di protezione e di sorveglianza ai fini del loro smaltimento:

  • in un impianto riconosciuto ai sensi del Reg. (CE) n. 1069/2009 – Cat. 2 che assicuri l’inattivazione del virus della Psa tramite l’applicazione dei parametri minimi di trattamento indicati nel Manuale Operativo Psa, ovvero 70° per almeno un’ora o trattamento equivalente (Incenerimento, Coincenerimento, Combustione, Biogas, Compostaggio, Produzione di fertilizzanti organici);
  • in alternativa, il letame, compresi le lettiere e il materiale da lettiera, e i liquami dovranno essere spostati rispettivamente dopo 42 e 60 giorni dall’inizio della decorrenza dei divieti per essere destinate a qualsiasi destino, conformemente la normativa in materia, compreso l’uso agronomico, ove la durata delle zone di protezione e sorveglianza si protragga oltre tali termini”.

Che cosa significa? E quali implicazioni comporta questo provvedimento? Lo abbiamo chiesto a Rudy Milani, dal 2021 presidente nazionale dei suinicoltori di Confagricoltura.

L’intervista a Rudy Milani

Dottor Milani, quali sono i punti più problematici di questo protocollo?

«Il punto principale e quello più problematico è questo: se io ho bisogno di spandere del liquame, questo deve essere necessariamente trattato termicamente a 70 gradi per un’ora. Diversamente, il protocollo prevede che le vasche di liquami restino ferme e senza introduzione di ulteriore liquame per almeno 60 giorni. Questo provvedimento è un problema, perché cade nel momento sbagliato.

Mi spiego meglio: a Pavia l’istituzione della zona di protezione e sorveglianza è iniziata il 5 settembre. Se calcoliamo 60 giorni di fermo a partire dal provvedimento si arriva al 5 novembre, già periodo di divieto di spandimento liquami, secondo la normativa nitrati, nella quale la Regione Lombardia ha stabilito il divieto di spandimento nel periodo che va dal 1° novembre al 28 febbraio. Quindi, il protocollo arriva nel momento peggiore.

Un modo per ovviare a questa situazione sarebbe il trattamento termico dei SOA per un’ora a 70 gradi, come previsto dal protocollo: il problema che è alcuni allevamenti hanno diverse migliaia di metri cubi di liquami da smaltire. Ciò rappresenta un costo insostenibile, non solo per il trattamento termico in sé, ma anche per le operazioni di trasporto del letame verso i centri di trattamento.

Ci sono quindi due scenari al momento ipotizzabili:

  • Per quanto riguarda gli impianti biogas, che sono presenti in quasi tutti gli allevamenti di maggiori dimensioni, essi sono stati tutti autorizzati dalla Regione a smaltire senza restrizioni, perché il centro di referenza di Perugia ha stabilito che il processo di trasformazione che il liquame subisce all’interno dei fermentatori è sufficiente a inattivare il virus. Quindi, le aziende biogas al momento sono le uniche a non avere il problema dei liquami.
  • Per tutte le altre aziende, abbiamo lo scenario il peggiore: se le zone di protezione e le zone di sorveglianza rimangono invariate fino al 28 novembre, l’unica chance che abbiamo è fermare le vasche per 60 giorni o trattare il liquame. Se scegliamo di trattarlo, dobbiamo trovare una struttura adeguata a tale operazione e sostenere i costi del trasporto e del trattamento stesso. Se invece abbiamo la possibilità di tenerlo stoccato, esso diventerà utilizzabile solo nel periodo in cui vige il divieto di spandimento».

Questa discrepanza paradossale tra la normativa nitrati e il protocollo per lo spandimento è stata fatta presente alla Regione?

«Certamente, la Regione Lombardia è fiduciosa che le zone di restrizione vengano riviste e ridotte nel più breve tempo possibile, probabilmente entro metà ottobre».

In che senso vorreste che vengano riviste?

«Noi auspichiamo che la zona di protezione non superi i 3 chilometri dal focolaio e la zona di sorveglianza i 10 chilometri. Al momento invece, in seguito alla formazione di otto focolai nel suino domestico nel giro di 10 giorni, la Comunità europea si è allarmata e ha imposto una zona di protezione di 10 km di raggio attorno ai focolai e una zona di sorveglianza non di 10 km, bensì pari a tutta la provincia amministrativa di Pavia, più 4 comuni della provincia di Alessandria.

Ciò detto, vorrei comunque sottolineare che il protocollo sullo spandimento è un provvedimento europeo non derogabile e su cui non ci sono giudizi da esprimere: vista la situazione epidemiologica che si è venuta a creare, le misure stabilite sono comprensibili e hanno assolutamente un senso tecnico. Bisogna però cercare di calarlo nel contesto attuale, per renderlo praticabile. È necessario che lo Stato, o la Regione, si facciano carico delle spese di trasporto e trattamento dei liquami, che per le singole aziende sarebbero inaffrontabili. Spero, inoltre, che l’emergenza che la Regione si trova a dover affrontare possa servire da monito affinché situazioni come questa non si debbano più verificare, né in Lombardia né altrove.»

Secondo lei perché siamo arrivati a questa situazione?
«Perché la politica, quando poteva, non è intervenuta».

E quando avrebbe potuto intervenire?

«Anni fa. E non mi riferisco a un anno e mezzo fa, quando la Psa è comparsa in Italia, ma molto prima. Saranno almeno dieci anni che denunciamo allo Stato il fatto che la popolazione della fauna selvatica è fuori controllo e ha bisogno di una regolazione. Non possiamo pensare che la fauna si autoregoli. Per dieci anni abbiamo chiesto un contenimento della fauna selvatica, facendo presente i rischi che correvamo, e siamo rimasti puntualmente inascoltati. Ora, tutto ciò che avevamo temuto e previsto si è realizzato. Sono pertanto fiducioso che, d’ora in avanti, non vengano commessi di nuovo gli errori fatti in passato. Auspico quindi che si concretizzi quanto è stato annunciato dal governo, ovvero un piano di contenimento massiccio dei cinghiali».

Quali sono i motivi per cui sostenete il controllo dei cinghiali?
«I motivi sono principalmente due.

Il primo è di natura sanitaria, in quanto si sapeva da anni che la Psa è presente in Europa, e poiché il cinghiale ne è il principale vettore, noi chiedevamo la riduzione del numero di cinghiali. È vero che basta un solo cinghiale positivo al virus per km quadrato per rappresentare un pericolo epidemiologico, ma è anche vero che maggiore è il numero di cinghiali, maggiore è la possibilità che l’infezione si trasmetta e si diffonda sul territorio. Inoltre, vorrei far notare che i primi focolai di Psa in Italia sono comparsi a Roma e a Genova, le uniche due città in cui i cinghiali scorrazzano liberamente in territorio urbano, sulle spiagge di Genova, tra i bagnanti, e tra i cassonetti dell’immondizia nella Capitale.

Ora, la Psa non rappresenta un pericolo per la salute umana, ma è un problema prettamente commerciale, in quanto ha una mortalità del 95% sui suini. In Paesi come la Romania, in cui vengono normalmente commerciati salumi di cinghiale, è molto probabile che i consumatori stiano consumando carni infettate dal virus, che da anni è presente in tale territorio. Si capisce che è altrettanto probabile l’introduzione del virus in Italia, nel momento in cui dalla Romania viene introdotto del salume infetto, che viene magari gettato nell’immondizia, la sera i cinghiali rovistano tra i bidoni, mangiano il salame, si infettano a loro volta e trasmettono il virus sul territorio.

Pertanto, mi sembra evidente che, se non avessimo avuto cinghiali liberi di pascolare nei centri urbani italiani, a quest’ora non avremmo nemmeno la Psa in Italia, né tutti i danni che ne stanno conseguendo».

Per quanto riguarda le misure di contenimento della malattia quando è comparsa in Italia, pensa che si sarebbe potuto fare di più?

«Credo sia stato un errore non intervenire immediatamente con un’opera di abbattimento dei cinghiali dall’esterno verso l’interno delle zone infette, al fine di creare un’area cuscinetto sgombra da cinghiali attorno al perimetro della zona infetta. Il ritardo nella messa in pratica di questa operazione, e parlo di un ritardo di un anno, ci ha portati alla situazione che stiamo vivendo ora».

Secondo Vittorio Guberti, esperto di Psa che abbiamo intervistato due volte dalla comparsa del virus, l’errore più grave nella gestione dell’emergenza è stato il ritardo nella costruzione di barriere fisiche attorno alle aree infette. Cosa ne pensa?

«Guberti ha perfettamente ragione, d’altronde è uno stimato esperto della malattia in questione, tuttavia le sue parole vanno calate anche nel contesto orografico del territorio che è stato interessato dal virus. Le reti hanno funzionato nei Paesi europei che presentano un territorio perlopiù collinare. In Italia, il provvedimento è stato stabilito quando ormai era stata coinvolta l’area montuosa tra Genova e Alessandria, dove ci sono scarpate, fiumi, montagne, e anche se le reti fossero state installate nei tempi giusti, sarebbe stato improbabile creare una barriera fisica adeguatamente efficace. Era necessario procedere anche ad un abbattimento massivo dei cinghiali attorno alle aree infette. Comunque, vista la situazione attuale, siamo fiduciosi che, adesso, Regione e Stato sosterranno gli allevatori locali, rivedendo l’estensione delle zone di protezione e sorveglianza o sostenendo i costi del trasporto di SOA verso i centri di trattamento termico, costi che le singole aziende suinicole non possono assolutamente sobbarcarsi».

Consulta qui la circolare

In Lombardia, circolare per mobilitare letame e liquami - Ultima modifica: 2023-10-17T12:00:52+02:00 da K4

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