Le micotossine sono sostanze tossiche prodotte da muffe che possono svilupparsi nelle coltivazioni, durante lo stoccaggio e il trasporto degli alimenti. Le muffe, inoltre, possono essere presenti sui mangimi ed essere di conseguenza responsabili della formazione di micotossine che l’animale elimina con il latte. In questo modo, queste sostanze tossiche possono arrivare a contaminare i derivati del latte: formaggi e prodotti caseari.
Quindi le micotossine possono essere presenti negli alimenti sia di origine vegetale (come cereali e derivati, frutta secca e essiccata) sia di origine animale (come latte, formaggi e uova).
Per i vegetali, la contaminazione può avvenire sia prima del raccolto, in seguito a coltivazione in condizioni ambientali sfavorevoli e/o infestazioni da insetti, sia dopo il raccolto, a causa di inadeguata conservazione e trasporto del prodotto. Per quanto riguarda i formaggi, la contaminazione può verificarsi anche durante la loro maturazione e conservazione, oltre che come conseguenza di alimentazione degli animali con mangime contaminato. I cambiamenti climatici in atto stanno aumentando la frequenza delle contaminazioni anche in Europa e in particolare nei Paesi dell’area mediterranea, come l’Italia.
Attualmente, le micotossine conosciute sono più di 300. Quelle più coinvolte in fenomeni di intossicazione sono le aflatossine, le ocratossine, le fumonisine, i tricoteceni e lo zearalenone.
Conseguenze per l’uomo e regolamento europeo
Le aflatossine, prodotte dal fungo Aspergillus flavus, sono il gruppo di micotossine più pericoloso per la salute umana e animale. Si possono accumulare nel fegato, con effetti cancerogeni e immunodepressori, e le patologie che possono causare sono carcinoma primario, epatite cronica accompagnata da epatomegalia e cirrosi.
Tra le aflatossine, la B1 è la più pericolosa ed è l’unica a essere regolamentata per alimenti destinati sia al consumo umano che animale, così come il suo metabolita, l’aflatossina M1, contaminante del latte.
Il regolamento Ue 547/2011 impone i seguenti limiti di legge a livello europeo:
- non utilizzare valori superiori ai 5 μg/kg di AFB1 per mangimi composti per bovini da latte e vitelli
- non utilizzare valori superiori ai 20 μg/kg di AFB1 sia per le “materie prime per mangimi” che per “i mangimi composti per bovini, ovini (eccetto ovini da latte e agnelli), caprini (eccetto caprini da latte e capretti), suini (eccetto suinetti) e pollame (eccetto pollame giovane)”.
Effetti sulla coltivazione del mais
Le aflatossine possono contaminare le materie prime vegetali utilizzate per l’alimentazione degli animali da reddito o impiegate nell’industria mangimistica. Particolare attenzione va posta alle contaminazioni nel mais, la materia prima più utilizzata nell’alimentazione zootecnica sottoforma di pastone o granella.
Il problema delle aflatossine nel mais è stato riscontrato per la prima volta nella campagna agraria 2003, in cui la siccità e le alte temperature hanno creato le condizioni favorevoli per la proliferazione del fungo Aspergillus. Dal 2012 a oggi, a causa del cambiamento climatico, si è verificato un susseguirsi di estati sempre più favorevoli alla formazione di aflatossine.
Come individuare le aflatossine in un campione di granella di mais
Per individuare la presenza di chicchi contaminati da aflatossine nella granella di mais e stabilire la conformità ai valori di legge, uno dei metodi utilizzati è il controllo con i raggi ultravioletti: tra i più rapidi e intuitivi.
Il primo fondamentale passo per la buona riuscita dell’analisi è una corretta campionatura: vista la distribuzione non uniforme delle aflatossine, la granella di mais deve essere prelevata da una sonda meccanica in vari punti del carico, agendo in profondità per raccogliere tutti gli strati.
Il campione ottenuto risulta rappresentativo della partita e può essere mandato in analisi.
I chicchi di mais sottoposti all’azione dei raggi ultravioletti, in ambiente completamente buio, possono risultare fluorescenti. La presenza di luce fluorescente giallo/verde evidenzia una possibile contaminazione.
In questo caso, il campione viene macinato e sottoposto a una successiva analisi chimica attraverso strip per la verifica di valori soglia di contaminazione da aflatossine.
Se l’analisi evidenza valori superiori ai limiti di legge, la partita di mais viene respinta e destinata ad altri utilizzi, per esempio agroenergetici.
In questo caso, è molto importante avere un sistema di tracciabilità e rintracciabilità efficiente, in modo da non contaminare anche campioni idonei e individuare rapidamente la partita non conforme, così da poter applicare rapidamente misure restrittive proporzionali alla gravità della contaminazione. Per questo è bene che ogni azienda adotti un manuale Haccp (Hazard analysis and critical control points), necessario per il controllo delle criticità di ogni fase del flusso produttivo.
Durante la raccolta del mais, un elemento importante è l’umidità della partita. Con l’essiccazione, le aflatossine tendono a concentrarsi, quindi le analisi sul mais verde devono tenere conto di questo aspetto. È necessaria infatti un’ulteriore verifica dopo il passaggio nell’essiccatoio.
Come ridurre il rischio di contaminazione
Tutti i protagonisti della filiera devono impegnarsi per minimizzare il rischio di contaminazione. A partire dal selezionatore di semente fino all’utilizzatore finale, ogni attore deve mettere in atto le cosiddette buone pratiche agronomiche.
Ecco le linee guida per il produttore:
- irrigare regolarmente il campo, evitare ristagni d’acqua ma anche zone di secca, per evitare lo stress idrico della pianta;
- avvicendare le colture, alternando la coltivazione dei cereali con altre colture;
- concimare avendo cura di mantenere un giusto rapporto tra azoto, fosforo e potassio, sulla base delle caratteristiche fisiche del terreno e degli obiettivi produttivi. Comunque non eccedere con l’azoto;
- il selezionatore di semente deve selezionare geneticamente ibridi che siano più resistenti alle contaminazioni fungine e allo sviluppo di muffe che possono portare alla formazione di aflatossine;
- evitare la proliferazione di erbe infestanti, che sottraggono elementi nutrizionali e acqua alla coltivazione, generando una situazione di stress;
- l’utilizzo di insetticidi, soprattutto dopo la completa fioritura del mais, può diminuire notevolmente lo sviluppo di piralide, che facilita l’accesso dei funghi;
- si ricorda che, in ogni caso, è bene coordinarsi con il trebbiatore e il centro di raccolta, in modo che l’essiccazione avvenga entro le 48 ore dalla raccolta. Una sosta superiore alle 48 ore di una massa umida può generare fermentazioni e sviluppi di muffe o favorire la crescita di colonie fungine qualora già presenti.
Ecco le linee guida per il centro di raccolta e per l’essiccatore -stoccatore:
- come già esplicitato, il centro di raccolta si coordina con gli altri attori della filiera per essiccare il prodotto entro le 48 ore dalla raccolta e si accerta che il prodotto esca dall’essiccatoio a un’umidità corretta per lo stoccaggio finale;
- verificare le caratteristiche fisiche della merce con particolare riferimento alla presenza di chicchi ammuffiti, fermentati, germinati e spezzati, avendo cura, nei casi più gravi, di effettuare una lavorazione separata;
- impostare i tempi e le temperature di essiccazione in funzione dell’umidità del prodotto da essiccare;
- avere cura di pulire e raffreddare la massa prima dello stoccaggio finale nel magazzino;
- pulire e disinfestare i locali adibiti allo stoccaggio prima di immettervi i prodotti e dotare gli stessi di impianti di ventilazione;
- controllare che non vi sia presenza di agenti esterni, quali insetti infestanti o roditori.
Perché contrastare le micotossine?
Contrastare la proliferazione di funghi tossigeni e contenere lo sviluppo di micotossine è fondamentale per rispondere ai principi di qualità e sicurezza alimentare. Il controllo delle sostanze pericolose e la verifica del livello di contaminazione è un requisito di legge, stabilito a tutela del consumatore. Il rispetto di queste leggi è imprescindibile per tutti i soggetti della filiera, compresi i trasformatori, che proprio per questo motivo già oggi chiedono ai produttori agricoli la consegna di materie prime con basse concentrazioni di micotossine, comunque entro i limiti imposti dai regolamenti.
Ma la lotta alle contaminazioni da micotossine è anche uno strumento che permette di indirizzare la produzione agricola verso standard qualitativi sempre più elevati. Da ultimo, queste misure vanno a beneficio del consumatore e del benessere animale: obiettivi a cui ogni pratica, per essere buona ed efficiente, deve indiscutibilmente tendere.
In conclusione quindi, solo l’impegno collettivo e sinergico da parte di tutti gli operatori della filiera consentirà di valorizzare i nostri prodotti, come richiesto dagli utilizzatori e dai consumatori. Produttori, trebbiatori, trasportatori, centri di raccolta, essiccatori e stoccatori sono chiamati a mettere in campo pratiche agronomiche al fine di ridurre il problema della presenza di micotossine nella granella di mais. Ai sementieri e alla ricerca genetica il compito di individuare e selezionare ibridi tolleranti agli attacchi fungini e sempre più resistenti agli stress idrici che la crisi climatica determina.