«La terapia antibiotica è solo uno degli strumenti da utilizzare per gestire i problemi sanitari dell’allevamento. L’applicazione delle misure di biosicurezza, il miglioramento delle condizioni ambientali dell’allevamento, l’applicazione di un metodo di lavoro orientato alla risoluzione delle criticità, sono aspetti fondamentali per un uso razionale/appropriato del farmaco e per la riduzione dell’utilizzo dello stesso». È quanto ha affermato Denis Vio, dell'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, in occasione di un webinar organizzato dalla Federazione regionale ordini dei Medici veterinari del Veneto sull’uso prudente dell’antibiotico nell’allevamento suino. «I margini di miglioramento per un corretto impiego del farmaco ci sono - ha proseguito Vio - e devono essere ben identificati per far fronte alle prescrizioni normative derivanti dai regolamenti Comunitari. È necessario un lavoro di squadra tra veterinari Lp/filiera, veterinaria pubblica, allevatori e laboratori».
L’uso irrazionale dell’antibiotico aumenta l'antibioticoresistenza
L’utilizzo irrazionale degli antibiotici, spesso volto a sopperire a carenze gestionali/strutturali, come spiegato da Vio, comporta l’istaurarsi di pressioni selettive che favoriscono la selezione e la diffusione di batteri resistenti. «L’allevamento industriale del suino - ha precisato - è considerato uno dei punti critici per l’insorgenza di antibiotico-resistenze per via di un frequente ricorso a trattamenti di massa; somministrazione di antibiotici tramite mangime medicato o acqua di abbeverata; uso degli antibiotici a scopo profilattico e metafilattico; utilizzo frequente e non giustificato di Cias (Critically Important Antimicrobials) a fronte di uno scarso ricorso ad esami di laboratorio».
Dunque quali strategie adottare per contenere l’antibiotico-resistenza nel suino? Come puntualizzato da Vio, gli antibiotici dovrebbero essere utilizzati esclusivamente a scopo terapeutico e a seguito di diagnosi specifica; i trattamenti metafilattici dovrebbero essere fortemente limitati, i trattamenti profilattici dovrebbero essere evitati.
Le diagnosi di laboratorio, fondamentali per diagnosticare la malattia, isolare il patogeno e valutare la sensibilità agli antibiotici, «hanno un ruolo determinante per una scelta e un utilizzo mirato del farmaco - ha affermato Vio -. L’utilizzo di precisione permette di avere una cura più efficace per l’animale, un minor consumo del farmaco, e quindi anche minori spese di gestione».
Quale antibiotico scegliere?
Vio ha spiegato che nella scelta del farmaco non vanno comparati i valori assoluti della minima concentrazione inibente (Mic) tra le molecole, ma si dovrà prediligere quel farmaco per il quale il rapporto BreakPoint/MICceppo è maggiore. Il break point clinico dice quindi se si può utilizzare quel farmaco verso il ceppo batterico di cui è stato accertato il valore della Mic.
Nello specifico, «il break point clinico - ha puntualizzato Vio - definisce l’attività antimicrobica, in termini quantitativi (valore Mic) che un farmaco deve manifestare in vitro per essere efficace nei confronti di quel batterio, localizzato in quell’organo/ tessuto, di quella particolare specie animale. I break point, inoltre, consentono di suddividere le popolazioni batteriche in “sensibili”, “intermedie”, “resistenti” a un particolare principio attivo».
I vantaggi del trattamento farmacologico individuale
Il trattamento farmacologico individuale, che come specificato da Vio, è da preferire sempre ove possibile. Questo consente di somministrare un dosaggio accurato; un assorbimento rapido; una minima diffusione ambientale di antibiotico; la possibilità di trattare l’animale che non mangia/beve e la possibilità di individuazione dei capi trattati.
Soluzioni per prevenire l'antibioticoresistenza
Nei suinetti sottoscrofa (permanenza tra 21 e 28 giorni) il trattamento comunemente adottato «da evitare», ha ribadito Vio, è l’antibiotico meta/profilattico, concentrato generalmente durante la prima settimana. «Per contrastare la diarrea neotale, se mettessimo in atto alcune soluzioni quali un appropriato programma vaccinale su scrofette e scrofe prima del parto, lavaggio accurato delle scrofe prima dell’entrata in sala parto, innalzamento del livello di pulizia e disinfezione delle sale parto, pareggiamento precoce per favorire l’assunzione di colostro, svezzamento a 28 gg per favorire il corretto sviluppo intestinale, limiteremmo notevolmente l’utilizzo degli antibiotici».
E ancora, secondo Vio, i trattamenti meta/profilattici usualmente utilizzati per la castrazione «potrebbero essere limitati evitando gli Highest Priority Critically important Antimicrobials (Hpcia) (Cefalosporine III e IV gen, chinoloni); mentre per le patologie respiratorie ottimi risultati si potrebbero ottenere adottando maggiore attenzione alla temperatura della sala parto, evitando sbalzi (controllo periodico) e aumentandone dell’igiene».
Anche nei suini in post-svezzamento (periodo da svezzamento 21-28 gg, a 20-30 kg) si fa ampio uso di antibiotici a scopo soprattutto profilattico per contrastare, ha spiegato Vio, la streptococcosi, le diarree post svezzamento e eventuali patologie respiratorie. «Per prevenire sia le diarree sia le patologie respiratorie sarebbe sufficiente mettere in atto piccoli accorgimenti che eviterebbero il ricorso a un uso massiccio del farmaco. Per esempio: tutto pieno/tutto vuoto massima pulizia, rigorosa disinfezione, ottimizzazione delle condizioni ambientali, creazione di gruppi di svezzamento omogenei e la vaccinazione di suinetti sottoscrofa».
Nelle scrofe, ha specificato Vio, in sala parto vengono ancora eseguiti trattamenti preventivi per Mma o Pds (patologie multifattoriali) e si fanno ancora errori nel riconoscere le patologie batteriche/febbre (T>40°C). «Dobbiamo lavorare per una più efficace assistenza al parto e definizione di criteri per stabilire quando trattare la scrofa con l’antibiotico. Inoltre, per ridurre l’utilizzo di antibiotici sarebbe importante una valutazione clinica della scrofa e della nidiata con rilevamento della temperatura delle scrofe (3gg post partum). L’anoressia, infine - deve essere considerata stato infettivo solo in presenza di altri sintomi: scolo vaginale, mastite, T>40°C».