Peste suina e insetti: non facciamoci distrarre da una mosca

trasmissione peste suina
La Psa si trasmette tramite contatto diretto e materiale contaminato. Il ruolo di mosche e tafani è trascurabile, bisogna concentrarsi sulla biosicurezza

La peste suina africana (Psa) è una malattia virale contagiosa che colpisce esclusivamente i suini (domestici e selvatici), con esito solitamente infausto. La malattia è presente in tutti i continenti, inclusa l’Europa e ha fatto la sua comparsa nell’Italia continentale nel 2022. L’elevata resistenza ambientale del virus lo rende difficile da controllare, dal momento che tutto il materiale contaminato può potenzialmente diventare un veicolo per la sua diffusione. Inoltre, ad oggi, non esistono vaccini sicuri ed efficaci che possano contrastare l’infezione.

La Psa non colpisce l’uomo, ma le conseguenze socio-economiche della malattia sono catastrofiche, una vera e propria emergenza globale che oggi sta tenendo con il fiato sospeso l’intera industria suinicola del nostro Paese. Ma cerchiamo di fare chiarezza.

La Psa non è una malattia nuova, fu scoperta in Africa nel 1921 quando, in Kenya, i suini allevati dai coloni contrassero l’infezione dai facoceri. Non è nemmeno la prima volta che la malattia entra nel continente europeo. Il genotipo I arrivò in Spagna e in Portogallo alla fine degli anni ’50, mantenendosi in questi paesi fino alla fine degli anni ’90. Anche l’Italia ne fu interessata, nel 1978 l’entrata del genotipo I in Sardegna segnò l’inizio di una lotta durata quarant’anni e conclusasi recentemente, il 23 settembre 2024, quando il Comitato Paff (Piante, Animali, Alimenti e Mangimi) della Commissione europea ha dichiarato l’isola indenne da questa malattia.

Emergenza sanitaria e impatti economici sul settore suinicolo

La Psa per anni sembrava sparita dal continente europeo, relegata in quell’isola italiana dove aveva trovato le condizioni di endemia, a causa della presenza di suini bradi illegali, il mezzo di trasmissione e persistenza perfetto della malattia, nonché veicolo di infezione sia per le popolazioni di cinghiali che per quelle di suini domestici.

Tuttavia, nel 2007, una nuova introduzione è stata notificata in Georgia ma stavolta ad essere coinvolto è un altro genotipo (II).

La malattia, probabilmente proveniente dalla parte orientale del continente africano, si è diffusa rapidamente, prima in Armenia, Azerbaigian, Russia europea, Ucraina e Bielorussia per interessare poi anche l’Unione Europea (nel 2014 sono stati segnalati i primi casi in Lituania, Polonia, Lettonia ed Estonia). Nel 2017 la malattia è stata segnalata in Repubblica Ceca e in Romania; nel 2018 è comparsa in Ungheria, Romania, Bulgaria e Belgio; nel 2020 è arrivata anche in Germania e nel 2023 in Svezia.

Nel nostro paese, all’inizio del 2022 la presenza del genotipo II è stata notificata in provincia di Alessandria (Piemonte) nel cinghiale. Da allora l’infezione si è diffusa anche in diversi comuni della Liguria, della Lombardia, dell’Emilia-Romagna e della Toscana, ma è stata notificata anche a notevole distanza, nel Lazio, in Campania e in Calabria.

Oltre ai casi nel cinghiale, sono stati registrati anche focolai in allevamenti suini tra maggio e settembre 2023, sia in Regione Lombardia che in Regione Calabria mentre a Roma è stato individuato un focolaio rimasto isolato. Questi primi focolai nel domestico sono stati immediatamente risolti e per un anno la malattia ha continuato a circolare solo nelle popolazioni di cinghiali selvatici.

Da luglio 2024, una nuova ondata epidemica ha coinvolto gli allevamenti italiani, in particolare delle Regioni Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna.

Questa seconda irruzione della malattia nel domestico ha coinvolto un numero maggiore di allevamenti rispetto al 2023 e ha messo a dura prova il settore suinicolo italiano.

Se sono pochi, infatti, gli allevamenti suinicoli sede di focolaio, per i quali è stato necessario l’abbattimento di tutti gli animali, sono centinaia le aziende ricadenti nelle zone di restrizione I, II e III, che tra Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna ha raggiunto un’estensione di oltre 22,000 km2 (alla data del 18/10/2024).

Le ripercussioni in queste zone vanno dal divieto di movimentazione, che porta a scrofaie piene e tempi di ingrasso eccessivi, alla svalutazione delle carni. Secondo le stime di Assica, solo le restrizioni all’export imposte dalle normative per il contenimento della peste suina hanno fatto perdere all’Italia circa 20 milioni di euro al mese con un accumulo, ad oggi, di mezzo miliardo di danni, cifra che è probabilmente destinata ad aumentare.

Come si trasmette la Psa?

La trasmissione della malattia tra suini o cinghiali ma anche da cinghiali a suini (e viceversa) avviene

  • per contatto diretto (animale malato – animale sano)
  • e per contatto indiretto con materiale contaminato.

Data l’elevata resistenza del virus, la via indiretta riveste una notevole importanza, anche perché ad essere contaminate possono essere anche le carni o i prodotti a base di carne cruda, congelata o poco cotta ottenuti da suini malati. L’uomo, quindi, può rendersi veicolo del virus sia trasportando il virus attraverso scarpe, indumenti o attrezzi contaminati o adottando una gestione scorretta dei prodotti alimentari.

Chi conosce la Psa sa bene che esiste un’ulteriore via di trasmissione: la zecca molle del genere Ornithodorus. Questa zecca, che alle nostre latitudini non è presente e quindi non partecipa alla trasmissione della malattia, gioca invece un ruolo fondamentale in Africa, soprattutto per quanto riguarda la persistenza della Psa nei territori colpiti. Da un punto di vista epidemiologico, la zecca è un vettore biologico per il virus.

Questo significa che, all’interno della zecca, il virus replica e raggiunge livelli sufficienti a trasmettere l’infezione nei suini su cui l’insetto contenete il virus ha compiuto il pasto di sangue.

È possibile che altri artropodi assumano il ruolo di vettori biologici del virus?

Dopo i più recenti focolai, la domanda che in molti si sono posti è come abbia fatto questa malattia a entrare in allevamenti costruiti come bunker impenetrabili e, soprattutto, come sia possibile che l’epidemia si sia ripetuta a un anno di distanza, nello stesso periodo (in estate).

La ciclicità estiva degli eventi epidemici, caratterizzata da incursioni improvvise del virus negli allevamenti, non ha ancora una spiegazione chiara e viene da chiedersi se sia solo una coincidenza che nelle aree colpite sia presente un’elevata densità di insetti.

È possibile che altri artropodi si rendano vettori biologici del virus al pari della zecca molle del genere Ornithodorus? La risposta a questa domanda è no, o almeno, è del tutto improbabile.

Nessun altro artropode permette infatti la replicazione del virus della Psa dopo aver assunto il sangue da un animale infetto, il ruolo di vettore biologico appartiene esclusivamente alla zecca molle.

Tuttavia, esistono altri tipi di vettori, i cosiddetti “vettori meccanici”, che non permettono la replicazione del virus, ma lo trasportano passivamente, perché precedentemente sono venuti a contatto con materiale infetto e sono stati contaminati.

In linea teorica, insetti come mosche e tafani possono assumere il ruolo di vettori meccanici e diffondere la malattia, dopo essersi “sporcati” di virus o a seguito di un pasto di sangue da animale infetto.

Esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che, per esempio, le mosche stabili (Stomoxys calcitrans) possono trasmettere il virus della Psa ai suini dopo essersi nutrite su animali infetti.

L’eventuale importanza di questi vettori non sta tanto nella loro capacità di trasmissione del virus all’interno di allevamenti già infetti, dove la trasmissione diretta animale malato-animale sano è sicuramente più efficace ed efficiente, ma nel loro ipotetico ruolo di veicoli e amplificatori della malattia, dal momento che potrebbero trasportare il virus in altre aziende (per i suini) o aree (per i cinghiali) ancora indenni. Il potenziale danno che ne potrebbe derivare sarebbe gravissimo.

Tuttavia, per valutare in maniera corretta il rischio che gli insetti potrebbero rappresentare nella trasmissione, è importante tenere in considerazione non solo il potenziale danno, ma anche la probabilità che questo evento si verifichi.

Il raggio d’azione che, per esempio, una mosca può coprire per cercare cibo, riprodursi o trovare un rifugio, può variare a seconda della specie e delle condizioni ambientali, ma solitamente si limita a qualche centinaio di metri. Le mosche, per esempio, tendono a rimanere negli ambienti in cui si sono sviluppate e vicino a fonti di cibo. Solo in presenza di forti correnti d’aria o altre condizioni ambientali che facilitano il volo, possono percorrere distanze maggiori, fino a circa 5-7 chilometri.

È quindi necessaria una catena di eventi concomitanti perché gli insetti possano diventare vettori meccanici: una mosca, dopo essersi contaminata in un’azienda infetta, dovrebbe essere trascinata da un vento favorevole in direzione di un’altra azienda (indenne) e posarsi su un suino oppure raggiungere il bosco e colpire con precisione un cinghiale; in pratica le probabilità che ciò avvenga sono molto basse se non addirittura inconsistenti.

In altre parole, il rischio che gli insetti abbiano e abbiano avuto un ruolo nei focolai di peste suina negli allevamenti di suini è talmente basso da poter essere considerato trascurabile.

Leggi anche: Psa, la paglia e gli insetti sono rischiosi?

Il virus della peste non vola, ma cammina su due gambe

Nella lotta a una malattia subdola e imprevedibile come la Peste suina africana si è spesso portati a cercare spiegazioni semplicistiche a eventi apparentemente privi di spiegazione, come quelli che si sono verificati nel nostro Paese nell’ultimo periodo. Così facendo, si rischia di perdere di vista il quadro generale e sottovalutare elementi di rischio ben più importanti

Le ragioni che sottendono questi eventi epidemici improvvisi, inaspettati e su larga scala sono da ricercare altrove e più precisamente nel cosiddetto “fattore umano”. La distrazione, lo stivale sporco, le ruote del camion non disinfettate riescono facilmente a oltrepassare le barriere dell’allevamento, diventando una minaccia reale, molto più pericolosa di quanto possa esserlo un insetto “contaminato”.

Se pensiamo che il virus della peste può sopravvivere sulla suola di uno stivale anche settimane e che lo stivale “entra” giornalmente in allevamento, il rischio che la malattia entri in allevamento veicolata da stivali non puliti e disinfettati è centinaia di volte superiore a quello posto dagli insetti.

Con l’emergenza della Peste suina africana, alzare l’asticella dell’igiene in allevamento è diventato quanto mai strategico per difendere l’intero settore suinicolo.

Lo sforzo richiesto al settore è importante ma necessario ed è fondamentale agire unitamente mantenendo l’obiettivo, senza distrarsi a cercare capri espiatori o spiegazioni banali a eventi complessi.

La biosicurezza è l’alleato migliore

La biosicurezza è definita come l’insieme delle misure, fisiche e gestionali, messe in atto per impedire l’entrata e la diffusione dei patogeni in allevamento.

In assenza di un vaccino sicuro ed efficace, la biosicurezza è sicuramente lo strumento più efficiente a disposizione dell’allevatore per difendersi non solo dalla minaccia della peste suina africana, ma contro migliaia di altri patogeni. Tuttavia, se da un lato è relativamente facile applicare le misure fisiche previste, non è sempre immediato comprendere quali siano tutte le misure gestionali richieste e le loro corrette modalità di applicazione.

Inoltre, si tende a dimenticare che le sole barriere fisiche, come le recinzioni, non sono sufficienti e ci si dimentica che le barriere più importanti sono quelle che non si vedono perché dipendono dai singoli comportamenti.

La presenza della piazzola di disinfezione, dei calzari, o dello spogliatoio permette sì di “passare” il controllo veterinario, magari a pieni voti, ma perde di utilità se questi stessi strumenti non vengono utilizzati quotidianamente e pedissequamente.

Nessuna barriera è impenetrabile se, dopo aver costruito una fortificazione, si lascia il cancello di ingresso aperto. Una volta entrato in allevamento, il virus della Psa si diffonde inesorabilmente.

Poiché la velocità di trasmissione del virus da un animale all’altro è tendenzialmente bassa, seppur favorita dallo stretto contatto dei suini, inizialmente potrebbe essere difficile accorgersi dell’avvenuto ingresso del virus. Per questo motivo è importante segnalare alle autorità competenti ogni aumento della mortalità o sintomo compatibile in allevamento, anche se aspecifico, in modo da evidenziare la presenza del virus quanto prima. Infatti, soltanto la rilevazione precoce del virus (early detection) permetterà alle autorità competenti di attuare tutte le misure possibili per arginare la diffusione della malattia ad altri allevamenti.

L’allevatore è responsabile della sanità dei propri animali ed è chiamato ad attuare quanto possibile per ridurre al minimo il rischio di diffusione delle malattie. Possiede, quindi, un ruolo definito e riconosciuto a livello di prevenzione sanitaria.

Per questo motivo, l’adozione delle misure di biosicurezza dovrebbe rappresentare una pratica comune e consolidata, per tutti gli allevatori e le altre figure professionali che entrano in contatto con gli animali. Contestualmente, andrebbe costruita una rete di collaborazione tra allevatori/trasportatori e altre figure, compresi i veterinari aziendali e pubblici, per indirizzare gli sforzi verso un obiettivo comune.

Il sistema di biosicurezza in allevamento andrebbe costruito insieme e, soprattutto, costantemente verificato, revisionato e aggiornato, se necessario. Ancor più, la biosicurezza dovrebbe diventare un approccio mentale che indirizzi ogni attività e ogni comportamento umano alla minimizzazione del rischio di introduzione e diffusione di agenti patogeni in allevamento.

La scrupolosa applicazione delle regole di biosicurezza stabilite per il proprio allevamento, compresi i comportamenti da tenere per evitare che il virus possa entrarvi, rappresenta l’unica arma disponibile, ad oggi, contro il virus della Psa. Vanificare lo sforzo di molti a causa degli errori di pochi sarebbe imperdonabile.


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Peste suina e insetti: non facciamoci distrarre da una mosca - Ultima modifica: 2024-12-11T10:30:15+01:00 da Barbara Gamberini

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