Sono ormai tre anni che l'allevamento del suino pesante a ciclo chiuso riesce a offrire agli allevatori italiani profitti positivi. Nel 2008 questa attività aveva procurato agli allevatori una perdita di circa 0,06 € per kg di peso vivo, in media. Nel 2009 era andata meglio, con un profitto positivo pari a circa 0,005 €/kg peso vivo, ma nel 2010 c'era stata una ricaduta, con una perdita di circa 0,05 euro.
Da quell'anno in avanti però, ha sottolineato a un convegno tenutosi a Reggio Emilia Kees De Roest, responsabile Ufficio economia del Crpa, la redditività dell'allevamento ha iniziato a manifestare un trend positivo: nel 2011 il Crpa è tornato a registrare un profitto positivo nella produzione del suino pesante, con circa 0,02 €/kg peso vivo, profitto che nel 2012 è salito a 0,09 euro e che infine nel 2013, per via di una leggera flessione, si è attestato a quota 0,08. Tendenza evidenziata anche, con più dettagli, dalla figura in alto, dove si nota per quanto tempo i prezzi alla stalla (curva verde) siano riusciti a superare i costi di produzione (curva rossa).
D'altra parte questi trend sono determinati anche dall'andamento del mercato dei suini, dunque da dinamiche fuori dal controllo dell'imprenditore zootecnico. Se invece guardiamo a situazioni un po' più legate alla quotidianità dell'allevamento, come l'articolazione dei costi di produzione aziendali (v. tab.), allora possiamo renderci conto che non c'è spazio per grandi festeggiamenti. I costi di produzione del suino pesante allevato a ciclo chiuso, infatti, nel 2013 sono aumentati di 3 centesimi per kg di peso vivo. E questo, ha spiegato De Roest, è successo «essenzialmente a causa dell'aumento dei costi di alimentazione dovuto ai prezzi di materie prime come mais e soia, che solo nella seconda parte del 2013 si sono un po' ribassati».
I conti sono andati meglio in quegli allevamenti che fanno solo ingrasso, che hanno permesso al Crpa di registrare un costo di produzione dello stesso livello (1,54 €/kg p.v.) di quello dell'anno precedente. Questo buon risultato è stato raggiunto grazie al calo del costo del magrone, «dovuto alla diminuzione del prezzo del suinetto, ma anche a un sensibile aumento della produttività delle scrofaie».
Rispetto ai competitor
Al contrario del resto d'Europa in Italia i suini non vengono macellati a 120 kg ma arrivano a 160 kg; e in quest'ultimo intervallo di peso l'indice di conversione alimentare è peggiore che prima di arrivare a 120 kg. Soprattutto per questo motivo, ha aggiunto l'esperto Crpa, è impari il confronto con gli altri paesi europei produttori di suini: la loro offerta arriva sugli stessi mercati sui quali gravita la produzione dei suinicoltori italiani, ma vantando indici tecnici ben migliori e costi di produzione ben più bassi, risultano più competitivi. «Un esempio: l'indice del numero di suinetti svezzati per scrofa vede l'Italia al penultimo posto nella Ue con una media di 23,35, lontanissima da Danimarca (31,94), Olanda (28,33) e Germania (26,58)».
Per non parlare del costo di produzione della carne suina: 1,98 €/kg peso morto in Italia contro gli 1,68 di Danimarca e Olanda e gli 1,80 della Germania. Valori determinati in gran parte dal costo dell'alimentazione, in Italia ben più alto (1,36 € contro gli 1,07 della Danimarca, gli 1,04 dell'Olanda e gli 1,13 della Germania). L'alimentazione in Italia è più onerosa «non solo a causa del peggior indice di conversione dell'ultima fase dell'ingrasso, ma anche per il maggior costo dei mangimi dovuto a carenze logistiche e infrastrutturali».
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