Le condizioni microclimatiche condizionano pesantemente la salute dei suini ospiti e le loro performance. Per questo non è possibile accettare soluzioni “sufficienti”, ma si debbono applicare quelle effettivamente ottimali.
È l’opinione di Pierluigi Navarotto, già docente di costruzioni rurali al Dipartimento di Scienze veterinarie per la salute, la produzione animale e la sicurezza alimentare dell’Università di Milano.
«È anzitutto essenziale – spiega Navarotto – definire le condizioni ottimali sulla base delle categorie di animali presenti e la loro consistenza».
Cominciamo con l’analizzare il settore riproduttivo e in particolare le sale parto. Illustra il professore: «Qui sono inizialmente presenti nello stesso ricovero solo le scrofe in procinto di partorire. Mentre, successivamente, si avranno anche i suinetti con esigenze notevolmente diverse dalle madri. Mentre le scrofe prediligono temperature dell’ordine dei 20-21° C, i suinetti richiedono ambienti più caldi, attorno ai 30° C. Per poter assicurare nello stesso ricovero condizioni termiche così diverse ci si è sempre affidati alla predisposizione di zone confinate, i cosiddetti nidi, costituiti sostanzialmente da piccoli contenitori, posizionati all’interno del posto parto, ove mantenere, tramite riscaldamento localizzato con lampade o serpentine con circolazione di acqua calda, la temperatura desiderata. In questo modo entrambi, scrofe e suinetti, potevano disporre delle condizioni termiche ideali».
Prosegue Navarotto: «Con l’aumentare delle dimensioni degli allevamenti e la conseguente necessità di rendere molto più facili e veloci le operazioni di controllo, si è optato per l’utilizzo di posti parto con nidi aperti dove si è notevolmente ridotta la possibilità di differenziare la temperatura da quella ambiente, affidandosi solamente alla azione della lampada a raggi infrarossi. Ciò ha portato spesso, al fine di evitare problemi ai suinetti (i soggetti sicuramente più sensibili), a mantenere nel ricovero temperature sensibilmente più elevate, non certo ideali per le scrofe con possibili fenomeni di inappetenza ed agalassia».
Svezzamento
Anche la scelta del tipo di attrezzatura incide profondamente sulla possibilità di rispondere alle esigenze microclimatiche degli animali. Aggiunge il tecnico: «Le scelte progettuali devono discendere da un quadro di sintesi che consideri tutti gli aspetti che direttamente ed indirettamente incidono sulla qualità dell’ambiente. Alla luce di questo, va attentamente valutata l’eliminazione del nido chiuso che, a fronte di una minor facilità di controllo, consente una reale differenziazione delle temperature assicurando sia condizioni microclimatiche ottimali alle scrofe e ai suinetti, sia sensibili economie di energia».
Passando ad analizzare il settore svezzamento, che raggruppa i suinetti dai 7 kg fino ai 25-30 kg, Navarotto puntualizza: «Si tratta di animali molto esigenti in termini ambientali. Quando sono di 7 kg, infatti, i suinetti hanno bisogno di circa 28° e di una velocità dell’aria molto bassa. L’impianto dovrà essere in grado di adattarsi alle esigenze degli animali man mano che crescono e aumentano di peso».
Quando il suinetto raggiunge i 30 kg di peso saranno ben diverse, rispetto a prima, sia le esigenze di temperatura sia quelle che riguardano i volumi di ventilazione. La temperatura richiesta sarà infatti più bassa (il 98% di questa categoria si alimenta a secco e magari ad libitum). Parimenti, si dovranno evitare velocità dell’aria superiori ai 5-10 centimetri/secondo».
Per questo motivo è bene regolare opportunamente l’ingresso dell’aria nel ricovero attraverso l’utilizzo di deflettori che consentono di variare la sezione di ingresso dell’aria in funzione del volume di ricambio mantenendo così la velocità dell’aria in ingresso sufficientemente elevata per garantirne la miscelazione con l’aria ambiente.
«In carenza – sottolinea Navarotto – è possibile predisporre in ambiente delle protezioni sopra le transenne e in corrispondenza delle zone di riposo, per evitare che eventuali correnti d’aria possano raggiungere gli animali».
Riscaldamento e ventilazione
Ma non sempre la responsabilità è dell’impiantista, spesso è del ricovero.
Questo, infatti, deve assolutamente essere a tenuta.
Puntualizza l’esperto: «Se il ricovero è a tenuta, l’aria dovrà entrare dalle bocchette che sono state predisposte e non dalle aperture casualmente presenti. Solo in queste condizioni si potrà effettivamente ottenere un flusso dell’aria di ricambio congruente con le ipotesi di progetto».
Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione riguarda la necessità del corretto coordinamento tra riscaldamento e ventilazione. Il professore porta un esempio: «In inverno, se ho un coordinamento scorretto, potrei avere la sonda del riscaldamento che “sente freddo” e quindi richiama calore, e la sonda del ventilatore che “sente caldo” per cui richiede un aumento del ricambio. Il risultato è un’impennata dei costi per il riscaldamento e condizioni microclimatiche negative a causa di una bassa umidità relativa».
E proprio quello relativo all’umidità è uno dei primi controlli da eseguire. «Il livello ottimale di umidità – aggiunge Navarotto – è al livello del 55-60%. Una cosa è certa: se riscontriamo bassa umidità relativa, significa che stiamo sovraventilando e quindi stiamo sprecando energia». Conclude il professore: «Non bisogna mai dimenticare che le esigenze dei ricoveri sono funzione delle tipologie degli animali ospiti, delle tecnologie alimentari adottate, delle tipologie delle attrezzature e delle soluzioni stabulative e che il tutto è fortemente condizionato dallo standard costruttivo del ricovero».