Psa, la paglia e gli insetti sono rischiosi?

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La paglia è considerata tra i migliori arricchimenti ambientali per il suino. Ma la presenza della Psa nei territori di raccolta rappresenta un rischio dal punto di vista della biosicurezza? E che dire degli insetti?

Il rischio legato alla presenza del virus della Peste suina africana (Psa) sul territorio italiano pone delle grosse sfide economiche e gestionali a tutti i livelli produttivi del suino e della carne suina. Base imprescindibile di una buona (o obbligatoria secondo la legislazione in vigore) prevenzione è l’osservazione di rigide regole di biosicurezza in allevamento.

L’utilizzo della paglia, fino a poco tempo fa considerata imprescindibile negli allevamenti suinicoli come arricchimento ambientale per garantire una buona condizione di benessere, oggi va riconsiderato alla luce delle condizioni epidemiologiche del territorio. Infatti, anche la paglia rappresenta un materiale in ingresso negli allevamenti che deve sottostare alle regole di base della biosicurezza, con l’aggravante che si tratta di un materiale che può veicolare il virus in quanto non trattato preventivamente e difficilmente stoccabile in una quarantena (per le quantità ed il volume necessari in allevamento).

Quarantena di 90 giorni

Già nel 2015, La Commissione per la gestione della Psa pubblicava un documento di lavoro lanciato dall'Unione Europea raccomandando che la paglia fosse conservata per almeno 90 giorni prima di essere utilizzata come lettiera o arricchimento ambientale, soprattutto nel caso non si potesse escludere un rischio di contaminazione per provenienza non certificata. Pochi anni dopo (nel recente 2021) la stessa Commissione Efsa produce una consultazione pubblica europea sulla tematica del rischio di introduzione della Psa in allevamento legato a diversi materiali. Emerge la necessità, sottolineata anche da Paesi come la Svezia che utilizza ampiamente la paglia nella produzione suina convenzionale per obbligo di legge, di avviare una valutazione del rischio di sopravvivenza della Psa nella paglia, in quanto le informazioni in merito non erano ritenute sufficienti. Nello specifico, emergeva la necessità di approfondire le indagini sulle reali tempistiche di quarantena della paglia prima di poterla introdurre in modo sicuro in allevamento. Ecco perché quest’anno, nel 2024, la Commissione Efsa ha prodotto un documento con indagini più approfondite.

Aggiornamenti Efsa 2024 tranquillizzano: il virus si inattiva in pochi giorni
Considerando la produzione vegetale in Europa, per le indagini più dettagliate portate avanti dalla Commissione Efsa sulla stabilità del virus della Psa sono stati scelti 14 materiali rilevanti per mangimi e lettiere, ovvero: erba, insilato d'erba, fieno, corteccia, torba, trucioli di legno, insilato di mais, colza, orzo, frumento, avena, paglia, patate e barbabietole da foraggio. Tutte le matrici sono state contaminate manualmente con virus Psa e conservate in cinque diverse condizioni ambientali (-20 °C, 4 °C, 10 °C, 18-22 °C, 37 °C) per un periodo massimo di nove mesi. Come previsto, la stabilità del genoma virale è stata molto elevata: è stato rilevato in un ampio intervallo di temperature e per lunghi periodi di tempo. Tuttavia, diversa è la situazione per l’individuazione del virus infettante. Nonostante diversi tentativi, il virus infettante è stato rilevato solo in pochi campioni e solo a temperature fresche. Nella paglia, il rilevamento del virus è stato limitato a temperature di conservazione fresche e a brevi periodi di tempo.

  • A 4 °C, l'inattivazione si verificava generalmente dopo 7 giorni.
  • In caso di temperature fino a 20 °C, il virus di campo è stato rilevato solo fino a 3 giorni post contaminazione.

Il trattamento con acido propionico ha avuto un effetto mitigante aggiuntivo minimo, correlato alla rilevabilità generalmente bassa.

E gli insetti ematofagi che ruolo possono avere?

Sebbene sia riconosciuto che solo le zecche molli del genere Ornithodoros possono agire come vettori biologici competenti per il virus della peste suina africana, cioè replicare il virus e mantenerlo nei suoi stadi vitali, il possibile ruolo di altri artropodi ematofagi come vettori meccanici è ancora discusso in modo controverso. In particolare, la stagionalità osservata nell’attuale epidemia di Psa a livello europeo, con un trend molto chiaro di epidemie negli allevamenti di suini domestici che si verificano durante i mesi estivi, ha sollevato la questione se i vettori artropodi potessero svolgere un ruolo nella dinamica della malattia, come un ponte tra la popolazione di cinghiali infetti ed i suini domestici, così come all’interno e tra i diversi allevamenti di suini domestici.

Il consorzio di ricerca mirava a fornire dati affidabili sul ruolo dei vettori meccanici nella trasmissione della Psa. Nel dettaglio, sono stati condotti studi sulla durata di tempo in cui gli artropodi selezionati come maggiormente rappresentativi tra quelli presenti sul territorio europeo hanno ospitato il virus infettivo dopo un pasto di sangue infetto. A questo scopo, sono state studiate colonie di laboratorio di Aedes albopictus (la zanzara tigre) e Stomoxys calcitrans (le cosiddette mosche cavalline) insieme a tabanidi catturati sul campo.

Mosche pericolose per 168 ore, zanzare tigre per 120

Gli studi hanno dimostrato che il virus è generalmente rilevabile per un certo periodo di tempo a seconda della temperatura e del volume di sangue ingerito. Come previsto, il virus è rilevabile nelle mosche Stomoxys per un tempo relativamente lungo, a 10 °C anche molto più a lungo del previsto, ovvero oltre 168 ore.

A temperature fresche, il virus infettivo potrebbe essere rilevato nelle zanzare anche per un massimo di 120 ore, che è anche più lungo del previsto e più lungo del tempo previsto per la completa digestione del pasto di sangue.

Nessun problema se gli ematofagi vengono ingeriti

Per fornire ulteriori dati sulla rilevanza biologica dell'ingestione di artropodi, in particolare di piccoli artropodi, sei maiali domestici da ingrasso sono stati alimentati ciascuno con 16 zanzare Aedes contaminate da Psa. I suini sono stati monitorati per febbre e segni clinici correlati alla Psa per un periodo di 21 giorni.

Sette giorni dopo l'alimentazione, è stato prelevato un campione di sangue per indagare sul genoma virale e vari organi e sangue sono stati analizzati tramite necroscopia.

Inoltre, è stata eseguita la sierologia sui campioni di siero prelevati il giorno 21. Nessuno dei suini presentava genoma virale nel sangue e negli organi o sieroconversione. Tuttavia, la potenza di questo studio di prova è limitata a causa delle dimensioni ridotte del campione.

Consigli per una buona biosicurezza

Le conclusioni che si possono trarre da questi risultati europei sono da un lato tranquillizzanti, in quanto si riduce sensibilmente la preoccupazione legata all’utilizzo della paglia come arricchimento ambientale. Dall’altra parte però, non è stato escluso un possibile coinvolgimento di questo materiale, seppur minimo e per pochi giorni dopo la contaminazione. Quindi, è sempre e comunque consigliabile effettuare anche solo una breve quarantena della paglia, così come degli altri arricchimenti ambientali, prima della somministrazione. Inoltre, si ricorda che il loro stoccaggio deve necessariamente essere effettuato in luoghi chiusi e non raggiungibili dagli animali selvatici.

Un secondo elemento importante da considerare è il ruolo della lotta contro gli insetti e gli infestanti in generale in allevamento. Troppo spesso non si considera la lotta agli insetti (e la derattizzazione!) parte di un protocollo di biosicurezza completo, mentre l’importanza che emerge dai risultati illustrati sottolinea la necessità di sottovalutare il rischio che questi infestanti possono avere nell’introduzione della Psa in allevamento.


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Psa, la paglia e gli insetti sono rischiosi? - Ultima modifica: 2024-07-19T14:24:45+02:00 da Annalisa Scollo

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