Dall’8 ottobre scorso il prezzo dei suini da macello alla Cun di Mantova ha iniziato una discesa che sembra non arrestarsi. Da 1,57euro/kg si è passati a 1,27euro/kg il 26 novembre, con una contrazione che in poche settimane ha già superato il -20%. Un contesto complicato da un insieme di fattori che rischiano di mandare in fibrillazione un comparto tra i più importanti del sistema agroalimentare italiano, in cui il tema della peste suina africana (Psa) ricopre oggi un ruolo molto rilevante.
Se ne parlerà anche mercoledì 2 dicembre 2020 in occasione della web conference della Giornata della Suinicoltura, appuntamento giunto alla sua sesta edizione e organizzato come sempre da Expo Consulting srl di Bologna. (www.giornatadellasuinicoltura.it – registrandosi a questo link https://bit.ly/3ejJbfi si potrà partecipare all’evento).
Peste suina, preoccupazioni e opportunità commerciali
Il titolo della Giornata è “La minaccia della Psa tra preoccupazioni e opportunità commerciali” e vedrà la partecipazione dei maggiori esperti italiani e stranieri.
Preoccupazioni e opportunità commerciali potrebbero sembrare un ossimoro, in realtà è proprio dalle situazioni complicate che si possono intercettare le condizioni per un rilancio capace di invertire una rotta negativa. “È vero – chiarisce Marco Segala, analista economico specializzato nel mercato delle materie prime – purchè si riesca a sopravvivere allo tsunami di una crisi. In Cina la Psa è esplosa nel 2018, ma solo un anno dopo è emersa la reale dimensione del problema, quando i prezzi dei suini da macello, a causa della forte riduzione produttiva determinata dall’abbattimento di centinaia di milioni di capi, hanno iniziato una inarrestabile rimonta al punto da registrare a novembre 2019 un rialzo del 188% rispetto all’inizio dell’anno, arrivando a toccare 6,3euro/kg: solo con l’aumento di prodotto importato dall’estero i prezzi hanno via via iniziato a scendere.
Spagna, Germania, Stati Uniti e Brasile sono stati i Paesi che maggiormente hanno beneficiato della crisi causata dalla Psa cinese, tant’è vero che nel solo 2019 i primi due hanno esportato nel Paese del Dragone più di 300mila tonnellate di carne a fronte delle circa 200mila dei due anni precedenti, mentre il Brasile è passato dalle 50mila tonnellate del 2017 alle 220mila del 2019. Ma lo scettro di maggiore beneficiario dell’import cinese è andato agli Usa, che dopo un calo del 50% nel 2018 dovuto ai dazi, nei soli primi cinque mesi di quest’anno hanno registrato un aumento del 500%”.
Società di allevamento cinesi quotate in borsa
E alle aziende suinicole cinesi sopravvissute agli effetti della Psa cosa è accaduto? “I loro profitti sono schizzati alle stelle – sottolinea Segala –. Grazie alle nuove normative introdotte dal Governo sulla biosicurezza e agli incentivi statali gli allevamenti hanno potuto aumentare la loro dimensione media e le migliaia di piccole porcilaie scomparse hanno lasciato spazio a quelle di medie e grandi dimensioni, al punto che ben 86 società di allevamento, ad agosto di quest’anno, erano quotate in borsa. In pratica cosa è accaduto? Più la produzione veniva decimata più il profitto/suino saliva favorendo un rapido ammortamento dei costi sostenuti per i nuovi impianti o per la ristrutturazione di quelli obsoleti”.
Peste suina, uno scenario difficile in Ue
Ma oggi la Psa e le disastrose conseguenze che si porta dietro incombono minacciose sull’Europa, soprattutto dopo i recenti casi rilevati su carcasse di cinghiali scoperte in Germania nelle regioni di Brandeburgo e Sassonia che, stando a quanto riportato dal sito https://msgiv.brandenburg.de/ alla data del 20 novembre ammontano a 176. Immediata però, all’indomani dei primi rinvenimenti, la reazione di Cina, Giappone e Corea del Sud che hanno bloccato tutte le importazioni di carne suina tedesca. Con quali effetti? “L’embargo sanitario blocca di fatto una media annua di circa 700mila tonnellate di carne – puntualizza Marco Segala – La Germania ha adottato subito tutti i provvedimenti necessari per arginare una eventuale espansione dell’infezione che potrebbe coinvolgere gli allevamenti e con la regionalizzazione si presume che l’emergenza dovrebbe rientrare. È comunque scontato che la quota di export fino a poche settimane fa detenuta dalla Germania andrà a vantaggio dei suoi principali competitor come Spagna, Stati Uniti e Brasile. Già il Paese iberico, da settembre 2019 aveva iniziato a erodere quote di export tedesco verso la Cina con un raddoppio delle esportazioni passate da 60mila a 110mila tonnellate. Analogamente le esportazioni all’interno dell’Europa di Spagna, Olanda e Danimarca potrebbero prendere la Via della Seta, ma è altrettanto vero che un prolungamento dell’embargo della carne tedesca potrebbe determinare un eccesso di offerta sul mercato europeo con effetti negativi sui prezzi dei tagli meno nobili dei suini. Lo scenario è complicato – conclude Marco Segala.
Quali previsioni per il 2021
Esistono però alcuni punti nevralgici per il 2021 che gli allevatori dovranno affrontare e contrastare: una maggior offerta di carne sul mercato interno a causa del blocco dell’export di alcuni Paesi; una minore crescita dell’import cinese determinato da una maggiore produzione locale e una accresciuta competizione dell’export da parte dei due principali competitor, Brasile e Stati Uniti, che negli ultimi mesi hanno visto le loro valute perdere terreno nei confronti dell’euro. Secondo l’Usda (Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti) in Europa la produzione di carne suina nel 2021 dovrebbe assestarsi a 264,3 milioni di tonnellate con un export in frenata rispetto al 2020 che dovrebbe passare dai 4 milioni del 2020 a 3,95 milioni di tonnellate. I consumi europei, invece, per il quarto anno consecutivo dovrebbero fermarsi a circa 20 milioni di tonnellate, pari a 220 milioni di maiali”.
Uno scenario che definire dinamico è riduttivo, denso di ombre ma dove si possono intravedere anche alcune luci. Saperle intercettare vuol dire riuscire a cogliere le opportunità di una crisi che se non evoca la tempesta perfetta le assomiglia molto.