Come è andata l’annata della suinicoltura italiana che si è appena conclusa? Una domanda semplice, ma di grande interesse anche per capire come affrontare l’immediato futuro. La risposta, al contrario, non è semplice a così pochi giorni dalla fine dell’anno: c’è da raccogliere gli ultimi dati e soprattutto farne sintesi per darne un’interpretazione.
Ci siamo rivolti al Crefis – il Centro ricerche sulle filiere suinicole dell’Università Cattolica (www.crefis.it) – dove da tempo hanno fatto della tempestività una routine, tanto da essere in grado di fornire molte informazioni.
Cerchiamo dunque di capire con loro come sono andati, nel corso del 2014, i costi di produzione, i mercati dei suini e la redditività.
Fattori di produzione
Tra i fattori di produzione implicati nell’allevamento dei suini, mais e soia primeggiano per peso economico. Nel 2014 i prezzi di questi due alimenti, sia in Italia e sia all’estero, sono diminuiti in maniera sensibile rispetto al 2013. A illustrarlo è Giulio Mela, ricercatore Crefis: «La flessione, in termini di medie annuali, è risultata maggiore nel caso del mais, tuttavia anche la contrazione dei prezzi dei semi oleosi è stata rilevante».
«Più in dettaglio – spiega Mela – le medie annuali 2014 delle quotazioni del mais nazionale e di quello comunitario registrate a Milano sono state del 17,9% e del 18,5 % inferiori a quelle del 2013. Medie peraltro in linea con le flessioni registrare in Francia (-19,1%) e a livello medio comunitario (-18,0%)».
La variazione, sempre negativa, è stata ancora più ampia negli Stati Uniti, dove il prezzo medio annuale del mais franco partenza dal golfo del Messico è stato di oltre il -26% più basso rispetto all’anno precedente.
«A Milano – prosegue Mela – l’andamento del prezzo del mais nazionale è stato decrescente nel corso dell’anno, con un massimo ad aprile (197,8 euro/t) e un minimo a dicembre (146,5 euro/t), per un valore medio di 180,6 euro/t. In Francia, la media annuale dei prezzi è stata di 168,2 euro/t e, sebbene l’andamento dei prezzi sia stato al ribasso per larga parte dell’anno (massimo ad aprile con 187,0 euro/t e minimo a ottobre con 143,0 euro/t), nella parte finale del 2014 è avvenuto un nuovo, seppur lieve, aumento delle quotazioni».
I mesi di ottobre, novembre e dicembre sono stati testimoni di un ulteriore rialzo dei prezzi, dopo il minimo di settembre (126,5 euro/t, valore più basso dall’estate del 2010), anche negli Stati Uniti, dove la media annuale dei corsi è stata di 144,8 euro/t.
Soia, quotazioni in ribasso
Per quanto riguarda la soia, sempre sulla piazza di Milano, i prezzi medi annuali del prodotto nazionale ed estero sono stati pari a 410,2 e 432,8 euro/t, «sensibilmente più elevati – sottolinea Giulio Mela – rispetto ai mercati internazionali. L’andamento delle quotazioni è stato tendenzialmente decrescente nel corso dell’anno con valori massimi a marzo (474,8 euro/t per la soia nazionale e 474,3 euro/t per quella estera) e minimi nella parte finale dell’anno (323,9 euro/t a ottobre per il prodotto nazionale e 376,0 euro/t per quello estero a dicembre)».
C’è da segnalare che l’andamento delle quotazioni è stato al ribasso anche sui principali mercati esteri. Negli Stati Uniti, dopo un massimo registrato a maggio (417,5 euro/t), i prezzi sono scesi fino a un minimo di 313,4 euro/t a ottobre per poi salire di nuovo in maniera lieve. Anche in Brasile il picco delle quotazioni si è verificato a maggio (370,6 euro/t), mentre i minimi si sono avuti a ottobre (319,8 euro/t) e poi a dicembre (319,7 euro/t), dopo un temporaneo rialzo nel mese di novembre.
Infine, sempre per quanto riguarda la soia quotata a Milano, il Crefis segnala che le medie annuali 2014 sono scese, rispetto al 2013, del 14,3% nel caso del prodotto nazionale e del 9,5% nel caso di quello estero. Tali variazioni sono in linea con quelle avvenute sui mercati internazionali: la soia franco arrivo al porto di Rotterdam si è infatti deprezzata, in media, dell’8,9% rispetto al 2013 ;quella statunitense (franco partenza golfo del Messico) del 10,6%; quella brasiliana (media Paraná) del 9,0%.
Indici di redditività
Dunque, sul fronte dei costi il 2014 non è andato male. Ma per capire se la suinicoltura ha guadagnato o ha perso bisogna considerare i ricavi che dipendono dall’andamento dei mercati.
Come spiega Ronny Ariberti, ricercatore Crefis, «nel 2014, riferendoci al suino pesante, l’allevamento ha beneficiato di prezzi relativamente più elevati, se confrontati con gli anni precedenti, per tutta la durata dell’anno».
Ma le valutazioni più interessanti si possono svolgere solo se si analizza l’evoluzione della redditività dell’attività di allevamento. Nel corso del 2014 nel nostro Paese si è registrato un leggero miglioramento della redditività sia della fase di allevamento e sia della macellazione: le variazioni medie annuali rispetto al 2013 sono state pari, rispettivamente, al +11,2% e al +4,0%. In termini di medie annuali, sia per la fase d’allevamento che per quella di macellazione, la redditività ha raggiunto i livelli più elevati degli ultimi quattro anni.
«È importante seguire le dinamiche di costi di produzione e di prezzi di mercato – ci spiega il professor Gabriele Canali, docente alla Cattolica di Piacenza e direttore del Crefis – ma è poi essenziale fare sintesi. Al Crefis lo abbiamo fatto costruendo un indice di redditività che rapporta l’evoluzione dei prezzi dei prodotti finali ottenuti con quello dei fattori di produzione principali impiegati nel processo produttivo (gli alimenti impiegati nel corso dell’intero ciclo produttivo nel caso dell’attività di allevamento, il prezzo del suino vivo in quello dell’attività di macellazione). Un lavoro – prosegue Canali – molto apprezzato dagli operatori della filiera sia per la sua tempestività, sia per la possibilità di fornire indicazioni su base almeno mensile. Con le analisi sui costi di produzione, invece, ciò non è possibile».
Generici contro dop
Il valore medio annuale dell’indice Crefis di redditività dell’allevamento è stato di 5,80 punti, il più elevato degli ultimi quattro anni. La redditività ha seguìto un andamento crescente nei mesi primaverili per poi stabilizzarsi intorno ai 6 punti nella parte finale dell’anno. Un’annata positiva, quindi? Al Crefis preferiscono parlare di un anno con qualche segnale di allentamento di alcune delle principali criticità, quale il prezzo delle materie prime impiegate per l’alimentazione dei suini. Perché dall’altro lato, la valorizzazione delle carni è stata ancora relativamente difficile, soprattutto con riferimento ai prosciutti dop, il Parma in particolare.
«L’andamento al rialzo delle quotazioni dei tagli principali (cosce per prosciutto di Parma e lombi) – prosegue Ariberti – ha favorito una sia pure modesta ripresa anche della redditività della fase di macellazione, soprattutto nella seconda metà dell’anno quando, all’aumento dei prezzi dei tagli, si è aggiunto un progressivo deprezzamento del suino pesante (in linea con il normale andamento stagionale delle quotazioni). Il valore medio annuo dell’indice Crefis di redditività della fase di prima trasformazione è stato di circa 2,62 punti, vale a dire il valore più elevato dal 2010 a questa parte. In particolare, nel mese di dicembre l’indice ha sfiorato i 3 punti, soglia che non veniva raggiunta da aprile 2009».
Venendo a valle della filiera è proseguito, anche nel 2014, il momento molto negativo dei prosciutti dop (Parma, in particolare), la cui redditività, rispetto al 2013, è scesa del -3,2% nel caso della tipologia leggera (<9 kg) e del -2,6% nel caso di quella pesante (9-11 kg).
«Il momento particolarmente negativo che sta attraversando il settore – riprende Ronny Ariberti – è ben rappresentato dal fatto che la redditività dei prosciutti dop leggeri si sia mantenuta inferiore rispetto a quella dei prosciutti non tipici nel corso di tutto il 2014: la media annuale dell’indice Crefis di redditività dei prosciutti dop leggeri è infatti stata di oltre il -16% più bassa rispetto a quella dei prosciutti generici. Relativamente meno negativo il bilancio per quanto riguarda i prosciutti dop pesanti la cui redditività è stata comunque, in media, del -5,3% più bassa di quella dei loro corrispettivi non tipici».
La redditività dei prosciutti non tutelati, nel 2014, è cresciuta del +3,9% rispetto al 2013 nel caso della tipologia leggera e del +5,5% nel caso di quella pesante.
Per quanto riguarda i prosciutti dop, la redditività è stata lievemente superiore nel caso della tipologia pesante (1,89 punti contro 1,85), mentre per i prosciutti generici è stata la tipologia leggera quella contraddistinta dai valori dell’indice Crefis più elevati (2,20 contro 2,00).