Suinicoltura post Coronavirus tra scetticismo e ottimismo

Suinicoltura post Coronavirus
A parlare sono i rappresentanti del settore: c’è chi vede lontana la ripresa e chi invece dà fiducia agli sforzi fatti finora

L’analisi diffusa dal Crefis, il Centro di ricerca delle filiere suinicole guidato dal professor Gabriele Canali, economista agrario dell’Università Cattolica, rileva nulla di buono anche per il mese appena trascorso di giugno, anche se le prime settimane del secondo semestre del 2020 hanno segnato una ripartenza che fa ben sperare per il settore (vedi rubrica Crefis pag. 52).
L’incipit del documento diffuso dal Crefis spinge a dirottarsi su altre attività, va bene una qualsiasi al posto di quella dell’allevatore di maiali. «Anche a giugno la suinicoltura italiana presenta dati molto negativi. A cominciare dalla redditività, con l’indice Crefis che segna -3,4% rispetto a maggio (variazione congiunturale) e soprattutto -25% rispetto a giugno 2019 (variazione tendenziale). Per trovare un livello di reddittività inferiore si deve tornare al mese di maggio del 2013».

La lettura della situazione

Uno “sprofondo” rosso non indifferente, insomma. Una lettura della situazione e del pregresso la dà proprio il professor Canali: «Il crollo dei prezzi è dipeso essenzialmente dal rallentamento delle macellazioni, a causa dell’entrata in vigore delle misure per il controllo dei contagi. Una riduzione che non è stata in realtà fortissima, ma nei momenti critici è arrivata al -22% nella metà di aprile, il punto più basso del calo dei ritmi produttivi. Oggi l’attività nei macelli, al netto dei casi Covid-19 che sono stati scoperti negli impianti viadanesi, è sostanzialmente ripresa come prima».
Tuttavia, il rallentamento dei ritmi che si è verificato tra marzo, aprile e maggio ha portato a un aumento dell’offerta a livello europeo, visto che si può estendere la situazione anche all’Europa. «Con i maiali non consegnati, però, in Italia molto capi sono usciti dal circuito delle Dop per eccesso di peso e il mantenimento nelle porcilaie ha incrementato i costi in allevamento – elenca Canali -. A questo si è aggiunto un ulteriore fattore destabilizzante, cioè la variazione dei consumi, che hanno oscillato, ma che a mio avviso non sono stati l’elemento critico».

La goccia che ha fatto traboccare il vaso

In ogni caso, la crisi innescata dalla pandemia si è inserita in una situazione già di per sé poco entusiasmante. «A ben vedere i primi segnali di criticità risalgono al gennaio 2019, un anno e mezzo fa – dice il direttore del Crefis – solo che il marcato aumento delle importazioni della Cina anche dall’Unione europea ha fatto sì che ci fosse una sorta di lungo recupero. In questo contesto precario il Covid-19 è stato il carico che ha fatto deragliare i prezzi».

Suinicoltura post Coronavirus

Per uscirne gli sforzi dei quali la filiera suinicola italiana dovrà farsi carico sono tutt’altro che lievi. «Le macellazioni sono ritornate a livelli standard sia da noi che in Europa, anche se il rimbalzo dei prezzi delle prime settimane di luglio in Italia è stato meno brillante, in quanto zavorrato dai vincoli delle Dop – spiega -. Forse si sarebbe dovuto accelerare per modificare i pesi verso l’alto dei suini destinati al prosciutto di Parma e alle Dop in generale per strutturare diverse tipologie di prodotti, ma con maggiore convinzione. E probabilmente è giunto il momento di rivalutare il progetto sul Sistema di qualità nazionale, visto che eravamo vicini alla conclusione qualche anno fa e poi è rimasto tutto sospeso».

Salumi: bene l’origine in etichetta

Elemento di chiarezza, nel contesto, anche il via libera dell’Unione europea all’etichettatura dei salumi e delle carni trasformate, «perché darà maggiore chiarezza al consumatore, ma dubito che modificherà i criteri di acquisto e che, di conseguenza, avrà un impatto rilevante sui prezzi».

Il nulla osta di Bruxelles all’etichettatura (che entrerà in vigore dopo l’approvazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale e non prima di quel momento) trova il plauso di Thomas Ronconi, presidente di Anas. «Permetteremo a 35 milioni di consumatori italiani di sapere con certezza che cosa acquistano e qual è la provenienza della carne suina, grazie a una filiera tracciata al 100% dall’allevamento allo scaffale – afferma Thomas Ronconi, allevatore di Marmirolo e presidente di Anas -. È un provvedimento che tutela il diritto all’informazione del consumatore, che potrà così scegliere se acquistare salumi italiani o affidarsi a brand che non informano rispetto a quello che stai consumando. Ringraziamo Coldiretti per tutto l’impegno che ha messo a raggiungere questo obiettivo».
Sul fronte etichettatura si esprime anche Assica. Lo fa il direttore Davide Calderone: «Andranno cambiate tutte le etichette e sarà un costo aggiuntivo per le imprese. In ogni caso, ci adeguiamo e non faremo alcuna opposizione politica, consapevoli che un discorso di trasparenza non è mai negativo, ma che potrebbero frapporsi ostacoli di ordine pratico legati alle normative europee e nazionali, con oneri e indicazioni differenti fra le etichette per le carni suine fresche e quelle per le carni suine trasformate o lavorate».

Serve uno sforzo ancora più articolato

Elio Martinelli, presidente di Assosuini, chiede interventi sul sistema dei prosciutti Dop. «Almeno due milioni di cosce sono da togliere dal mercato, qualcuno calcola anche tre milioni. Il Consorzio del Prosciutto di Parma ha indicato un taglio del 17% circa, con una riduzione da 9 milioni a 7,5 milioni di pezzi – dice Martinelli -. Ritengo che sia solamente una delle direzioni da prendere, ma che non sia sufficiente. Serve un dialogo con la filiera e azioni concrete e concertate fra tutti gli attori». Necessari anche aiuti economici. «Non credo che i fondi messi a disposizione dal Governo siano sufficienti – taglia corto il numero uno di Assosuini -. Sarebbe opportuno che anche le Regioni principalmente coinvolte finanziassero le imprese con prestiti a tasso zero e con modalità di restituzione non inferiori ai sette-otto anni».


Anche il numero uno di Assica, Nicola Levoni, si aspettava – rispetto ai 30 milioni di euro di indennità agli allevamenti e 10 milioni di euro all’ammasso dei prosciutti crudi stagionati Dop – «uno sforzo più articolato per sostenere in modo organico un comparto industriale che ha sempre garantito approvvigionamenti a tutta la popolazione».

Segnali di ottimismo

Suinicoltore e componente della Cun per i grassi da macello, Claudio Veronesi strizza l’occhio all’ottimismo. «Teniamo ancora le antenne alzate, ma in questo momento vediamo il futuro con maggiore positività e questo per tre ordini di ragioni: la prima è che, dopo oltre due mesi di stop forzati da Coronavirus, il canale horeca si è svegliato. Certo, non sta girando al 100% come prima, ma saremo intorno al 70-80 per cento. Il secondo motivo di ottimismo è che, avendo avuto per diverse settimane i prezzi più bassi d’Europa per i suini, le importazioni si dovrebbero essere drasticamente ridotte, con benefici sul mercato, anche in proiezione. Il terzo motivo è che l’Unione europea non ha frapposto ostacoli all’etichettatura made in Italy sui salumi, per completare un percorso di tracciabilità che garantisce e informa i consumatori e dovrebbe proteggere maggiormente gli allevatori. Non dobbiamo abbatterci».

Suinicoltura post Coronavirus tra scetticismo e ottimismo - Ultima modifica: 2020-07-21T17:05:25+02:00 da Lucia Berti

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