In corso di focolai di Peste Suina Africana è prevista una misura di contenimento drastica definita “stamping out”, che consiste nell’abbattimento di tutti i suidi, sani e malati, presenti in un allevamento che risulta positivo. Ma come mai si ricorre a tanto? I motivi sono molteplici, e sono da ricercare nell’epidemiologia e nella gravità di questa malattia.
La Psa è trasmissibile all’uomo?
È bene premettere che in questo caso lo stamping out non si effettua per proteggere in maniera diretta la salute umana, perché la Psa non è una zoonosi: in altre parole, il suo agente eziologico non è in grado di infettare l’uomo, ma è capace di infettare e replicarsi solamente nei suidi: in Italia e in Europa, quindi, facciamo riferimento soprattutto agli individui della specie Sus scrofa, ossia ai maiali e ai cinghiali.
Inoltre, si tratta anche di un virus estremamente stabile: da quando lo si è scoperto, infatti, circa 100 anni fa, si è rivelato essere stato soggetto a pochissime mutazioni, a differenza di altri virus quali i coronavirus e i virus influenzali, che invece mutano molto frequentemente e sono “predisposti” a fare salti di specie. È importante sapere, però, che l’uomo può fungere da vettore meccanico del virus, e diffonderlo attraverso indumenti entrati in contatto con suidi infetti o materiale infetto.
Quanto è grave la Psa nei suini?
Come suggerito dal nome, stiamo parlando di una peste, ossia di una malattia altamente contagiosa e con alti tassi di mortalità e letalità: tradotto in un linguaggio più semplice, si tratta di una malattia che si diffonde molto rapidamente tra i maiali e gli altri suidi, e ovunque arriva miete rapidamente diverse vittime.
Questo significa che, se l’Asfv (virus) entra in un allevamento, esso è in grado in pochi giorni di portare a morte un numero pari anche al 100% degli animali.
Infatti, è una malattia per la quale non esiste una cura e che non può neanche essere prevenuta attraverso la vaccinazione, vista la peculiare capacità del suo agente eziologico di non stimolare la produzione di anticorpi neutralizzanti da parte dell’animale infetto. Queste sue caratteristiche rendono la Psa una seria minaccia non solo per il benessere dei suidi, ma anche per la biodiversità e per la variabilità genetica, sia a livello selvatico sia a livello domestico.
A livello selvatico può decimare intere popolazioni di suidi selvatici (e non pensiamo solo ai nostri cinghiali, ma anche ai suidi asiatici, africani ecc.) e quindi alterare gli ecosistemi; a livello domestico, invece, minaccia la conservazione delle razze autoctone (di cui molte sono già a rischio d’estinzione) e del loro prezioso patrimonio genetico, e può mandare a monte decenni di miglioramento genetico, soprattutto se vengono interessati i maiali allevati in centri genetici.
La circolazione della Psa può influire sulla salute umana?
Pur non interessando in maniera diretta la salute umana, la Peste Suina Africana è in grado di influire in maniera profondamente negativa sul benessere della popolazione per via del suo enorme impatto economico sulla filiera suinicola. Infatti, la sua elevata morbilità, mortalità e letalità, associate all’assenza di vaccini efficaci, la rendono un pericolo enorme sia per i suidi sia, di riflesso, per tutte le persone il cui reddito dipende dalla suinicoltura.
Infatti, se la Psa entra in un allevamento e uccide la maggior parte degli animali, il suinicoltore diviene vittima di ingenti perdite economiche, che possono anche essere tali da portarlo a chiudere la propria attività. Lo stesso dicasi per chi vive grazie ad attività quali salumifici e salumerie: niente maiali significa niente prosciutti o salami, e quindi niente reddito. Inoltre, la presenza di Psa può bloccare interi flussi commerciali di suini vivi e carni suine dalle nazioni o dalle regioni infette.
Considerando che la carne suina rappresenta il 35% di tutte le carni consumate al mondo, e che certe nazioni quali Cina, Spagna e Italia hanno un’economia fortemente dipendente dalla suinicoltura, capiamo bene, quindi, che la circolazione di questa malattia può portare a danni economici e sociali di proporzioni devastanti in diverse parti del mondo.
La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (Woah) afferma persino che la sua diffusione può, in certe nazioni e in certi contesti, limitare profondamente a suinicoltori, salumieri e alle rispettive famiglie l’accesso a cure mediche o all’istruzione. Contenere la diffusione della Psa, quindi, non è solo importante per fare in modo che muoiano atrocemente quanti meno suidi possibili, ma anche per proteggere il reddito e il benessere di decine di migliaia di persone.
Perché effettuare lo stamping out?
L’importanza della Peste Suina Africana è tale che persino la Woah ha sviluppato, nel corso degli anni, dei protocolli standardizzati da applicare per un efficace contenimento dei focolai.
Sicuramente, la prima cosa che salta all’occhio di allevatori, medici veterinari e consumatori è l’obbligo dello stamping out. A chi non è addetto del settore, infatti, la scelta di abbattere tanti animali sani può sembrare un’atrocità priva di senso, ma in realtà essa è giustificata da una valutazione costi-benefici.
- In primis, trattandosi di un virus estremamente resistente nell’ambiente e che dà origine ad una malattia estremamente contagiosa, è verosimile che, se vengono rivelati dei soggetti positivi, anche gli altri “conviventi” siano infetti (ma ancora asintomatici) o prossimi ad infettarsi.
- Inoltre, essendo una malattia a carattere acuto o iperacuto, è difficile fare diagnosi in vita negli animali, per cui ha poco senso testare i soggetti asintomatici presenti negli allevamenti che risultano infetti, e attendere il tempo tecnico per l’ottenimento dei risultati significa lasciare l’asfavirus libero di circolare, infettare altri animali e diffondersi nell’ambiente circostante.
Anche nel remoto caso in cui i maiali si ammalino e guariscano, inoltre, essi diventerebbero dei veri e propri untori perché continuerebbero a liberare grandi quantità di virus per oltre un anno.
Contemporaneamente, chi dà da mangiare e accudisce i maiali dell’allevamento risultato positivo può diventare vettore meccanico del virus, e trasportarlo fuori dall’allevamento, dove può diffondersi ai cinghiali e, tramite loro, entrare in altri allevamenti.
Tramite lo stamping out, quello che si fa è ottenere un’area in cui, non essendoci suidi, il virus presente non possa replicarsi e muoia.
In altre parole, per quanto atroce possa sembrare (ed effettivamente per molti versi lo è), lo stamping out viene designata come una misura essenziale per contenere la diffusione della malattia, ed evitare danni sulla salute animale e umana di gran lunga superiori.
Il santuario in provincia di Pavia
Ritengo sia doveroso aprire una piccola parentesi sulla vicenda che sta riguardando il rifugio in provincia di Pavia, recentemente risultato positivo alla Psa e in cui si sono radunati volontari per impedire ai medici veterinari dell’Azienda Sanitaria Locale di effettuare lo stamping out degli animali.
Chi si fa promotore di questa “resistenza” afferma che per i santuari dovrebbero essere prese misure differenti dagli allevamenti propriamente detti, in quanto ospitano animali d’affezione e non destinati alla produzione alimentare (non Dpa).
Se da un lato non dobbiamo trascurare quanto sia una situazione dal punto di vista emotivo molto difficile per i proprietari (per i quali questi maiali sono dei membri della famiglia, al pari di quanto avviene per cani e gatti), dall’altro lato è bene ricordare che i virus si diffondono in modalità che prescindono dall’indirizzo dell’animale, e per gli asfavirus i maiali sono ospiti perfetti, a prescindere dal fatto che essi siano da macello o da compagnia. Pertanto, ostacolare la legge significa in questo caso, contribuire a creare danni che abbiamo detto essere di enormi proporzioni alla salute umana e animale.
Nel rifugio, alla fine, hanno fatto irruzione le autorità competenti e si è riusciti a fare lo stamping out dei pochi soggetti superstiti, con non poche difficoltà sia per gli agenti di polizia (che si sono ritrovati ad affrontare una grande quantità di attivisti) sia per gli attivisti (che riportano di aver ricevuto violenze fisiche e verbali) sia per i proprietari, che si son visti costretti ad assistere alla sottrazione dei loro “compagni di vita” in modalità tutt’altro che comprensive.
Con la sempre maggior diffusione dei santuari, questi episodi sono sicuramente destinati ad aumentare, ed è evidente quanto sia necessaria un adeguamento delle normative che consentano di raggiungere un punto d’incontro tra la necessità di contenere la diffusione virale e il diritto dei proprietari di vivere in maniera compassionevole il lutto o i lutti.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che i medici veterinari giurano per proteggere la salute e il benessere delle persone, e quando si parla di Psa, ormai, per persone non si intendono più solo i suinicoltori, i salumieri e le rispettive famiglie, ma anche i proprietari di maiali non Dpa. Il loro benessere psicologico andrebbe tenuto profondamente in considerazione durante gli stamping out, e le modalità di esecuzione degli stamping out dovrebbero adeguarsi anche a questo, in maniera simile a quanto si fa (e si dovrebbe fare) durante l’eutanasia di cani e gatti di proprietà.
Conclusione
Da anni, ma soprattutto negli ultimi tempi, il mondo intero sta lavorando sull’elaborazione di un vaccino efficace per la peste suina africana, visto che la prevenzione è l’unica arma con la quale si può combattere questa malattia: gli antivirali sarebbero farmaci troppo costosi da poter usare su larga scala e come terapia, per cui le case farmaceutiche non hanno interessi nel svilupparne ad hoc per l’asfavirus, per cui ciò che ci resta a disposizione sono la vaccinazione e la biosicurezza, dove per biosicurezza intendiamo tutte quelle prassi adottabili per limitare l’ingresso e la fuoriuscita di agenti patogeni da un ambiente, che può essere un allevamento ma anche un’intera regione o persino un’intera nazione. Sicuramente, quindi, un ruolo importantissimo dev’essere svolto dai proprietari di maiali, oltre che dai cacciatori di cinghiali e dei consumatori: senza un’adeguata formazione e sensibilizzazione non si può di certo andare lontano.
In definitiva, andrebbe profondamente rivisto e potenziato il ruolo attuale di formatori dei servizi veterinari, che sono le uniche figure detentrici delle conoscenze e delle competenze adatte allo scopo, e soprattutto ampliata la task force dei servizi veterinari, come sottolineato a più riprese sia dalla Woah a livello globale sia dalle principali società italiane (Sivemp, Anmvi), a livello locale.
L’articolo è pubblicato sulla Rivista di Suinicoltura 9/2023
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