Tutto pronto per il congresso a Cremona sulla Psa

Fermento per i preparativi del convegno “Emergenza Psa: un presente da gestire un futuro da difendere”, che si terrà il 20 Aprile, finalmente in presenza a palazzo Trecchi. Organizzato da Ev Edizioni Veterinarie srl, Edagricole con la Rivista di Suinicoltura ne sarà media partner

La scoperta, a inizio 2022, di alcune carcasse di cinghiale infette rinvenute in Piemonte e in Liguria ha tradotto in realtà quello che, fino a poco tempo prima, rappresentava per il settore suinicolo italiano solo una minaccia, localizzata oltre i nostri confini geografici. «Un’emergenza – spiega Carlo Scotti, medico veterinario e amministratore delegato di Ev Edizioni Veterinarie srl – che dimostra quanto il mercato e il settore primario debbano impegnarsi per riuscire ad affrontare con la massima preparazione possibile determinate criticità, come quella rappresentata oggi dalla Psa. Per farlo, servono grande professionalità ed elevata preparazione scientifica». Con diversi comunicati stampa, si tracciano i contorni di un’iniziativa che per la prima volta apre le porte del mondo veterinario a quello allevatoriale.

Davide Calderone, direttore di Assica: «Nonostante le azioni di contenimento dell’infezione, è troppo presto per pensare a uno scampato pericolo»

“A pochi mesi dalla scoperta della prima carcassa di cinghiale positiva al virus della Psa rinvenuta in Piemonte – si legge nel comunicato stampa congressuale del 21 marzo -, la mancata esportazione di prodotti italiani di origine suina imposta immediatamente dopo il blocco degli acquisti da parte di diversi Paesi extraeuropei, ha causato un danno all’intera filiera di circa 40 milioni di euro. Pertanto, la stima che Assica (Associazione industriali delle carni e dei salumi) aveva elaborato all’inizio di questa nuova emergenza sanitaria è stata purtroppo confermata”. «Fortunatamente, la task force messa in campo dal ministero della Salute immediatamente dopo il rinvenimento delle prime carcasse infette, ha dimostrato e sta dimostrando l’efficacia della sua azione nel contenimento dell’infezione - afferma Davide Calderone -. I ritiri dei suini da parte dei macelli si stanno normalizzando, dopo un iniziale quanto comprensibile e prudenziale rallentamento determinato esclusivamente dal timore che la zona infetta si potesse allargare. Questo non cancella la preoccupazione e l’allerta rispetto a una situazione che, come stanno facendo gli organi preposti, deve essere costantemente attenzionata e monitorata proprio per impedire il dilagare dell’infezione, che per l’intero comparto suinicolo italiano rappresenterebbe un vero e proprio disastro in un momento in cui i rincari delle materie prime e dei costi energetici stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza di molte aziende».
Una normalizzazione, dunque, che non permette di abbassare la guardia perché la Psa, come ricorda Vittorio Guberti, medico veterinario presso l’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) «non è un virus che corre veloce, ma non smette mai di correre».
Intanto però, allo stop import di prodotti italiani di origine suina da parte di Cina, Giappone, Taiwan e Svizzera, nelle settimane successive si sono aggiunti il Messico, il Sudafrica, la Serbia e il Vietnam, «mentre la Corea del Sud – continua Calderone –, che nei giorni scorsi con una delegazione di esperti si è recata nel nostro Paese e fra i diversi impegni in agenda ha voluto visitare anche un prosciuttificio, non ha mai interrotto gli acquisti. Infatti, gli accordi sottoscritti a suo tempo a livello bilaterale prevedono che i prodotti importati provengano da allevamenti in cui nei 36 mesi precedenti non siano comparse malattie infettive, oltre a una certificazione ad hoc per i prodotti cotti e quelli con 400 giorni di stagionatura».
Sul tavolo del ministro per le Politiche agricole, Stefano Patuanelli, si agita il tema legato alla regionalizzazione, unitamente alla recente richiesta presentata da Assica affinché venga convocato un tavolo di filiera per affrontare la difficile congiuntura che si è abbattuta sul comparto suinicolo nazionale, allargando la partecipazione anche e necessariamente alla Grande distribuzione organizzata. «La regionalizzazione è una procedura riconosciuta a Bruxelles e il nostro auspicio è che la trattativa avviata al Mipaaf porti a un medesimo risultato. Questo ci permetterà di avviare delle trattative con i Paesi esteri per riuscire a siglare accordi bilaterali grazie ai quali, qualora e malauguratamente si verificassero emergenze sanitarie localizzate, il blocco delle esportazioni colpisca soltanto quei prodotti ottenuti da suini provenienti dalle zone dichiarate infette».

Vittorio Guberti: «Le recinzioni bloccano la diffusione del virus. Con un investimento di 3 milioni di euro, quattro anni fa il Belgio ha eradicato la malattia»

«Come previsto, seppur lentamente, la malattia si sta espandendo e il costante monitoraggio legato al sistema di sorveglianza messo in campo da Mipaaf e Regioni conferma che la zona interessata si è allargata verso ovest». Vittorio Guberti sarà uno dei relatori al congresso di Cremona.
«L’area particolarmente vasta dove all’inizio dello scorso mese di gennaio sono state rinvenute le prime carcasse di cinghiale infette – spiega Guberti –, localizzata tra Piemonte e Liguria, ha fatto capire subito che ci trovavamo di fronte a un’infezione diffusa, che doveva essere stanata fino ai bordi dei territori più vicini alle province di Piacenza e Pavia e delle zone limitrofe». Tali zone sono collocate in Emilia Romagna e Lombardia, regioni ad alta vocazione suinicola e da allora in stato di massima allerta, perché consapevoli che se malauguratamente il virus della Psa irrompesse in uno dei tanti allevamenti presenti sul territorio sarebbe una catastrofe per l’intero comparto.
«Le autorità competenti hanno messo in atto delle misure di eradicazione che prevedono la recinzione dell’area infetta, che come detto è peraltro molto vasta  e abbastanza impervia – continua Guberti –. Questo è un aspetto che complica le cose e che mette sullo stesso piano due regioni, la Liguria e il Piemonte, con realtà totalmente differenti in termini di produzione suinicola. La prima, infatti, conta un patrimonio di animali equivalente a poche decine di migliaia, mentre il Piemonte rappresenta una delle 5 regioni dove si contano numeri di suini allevati molto importanti, soprattutto nella zona di Cuneo. Questo però non può condizionare le modalità di intervento, che devono essere condotte in modo univoco e ben coordinato, come si sta cercando di fare. Le recinzioni rappresentano l’unica barriera contro il possibile dilagare della malattia. Si tratta di una vera e propria sfida che richiede un enorme sforzo collettivo, cospicui investimenti economici, interventi tempestivi e un coordinamento efficiente. Il nostro Paese non è un grande esportatore di carne suina fresca, bensì di salumi Dop, a iniziare dal prosciutto crudo. Per questo, oltre all’ingente danno economico, se ci trovassimo di fronte a una malaugurata diffusione di Peste suina africana il danno di immagine che ne deriverebbe sarebbe enorme, un danno che peraltro stiamo in parte già pagando con il blocco degli acquisti deciso da alcuni Paesi extraeuropei, parte dei quali si è mossa praticamente subito in questa direzione».

Il recente “Manuale delle emergenze da Peste suina africana in popolazioni di suini selvatici”, datato 21 aprile 2021 e redatto dal ministero della Salute in collaborazione con Vittorio Guberti, Carmen Iscaro e Francesco Feliziani (quest’ultimo responsabile del Laboratorio nazionale di riferimento per le pesti suine - Cerep -  e anche lui tra i protagonisti del convegno del 20 aprile prossimo), nella sua nota introduttiva definisce “non trascurabile” il rischio di ingresso della malattia sul territorio italiano e in particolare nelle regioni all’epoca indenni del nord Italia, soprattutto perché a preoccupare, riporta, “è la capacità del virus di effettuare salti geografici, attraverso alimenti, materiali o mezzi contaminati veicolati dall’uomo che determinano la comparsa della malattia nelle popolazioni di cinghiali, anche a distanza di molti chilometri da quelle infette, come recentemente avvenuto in Belgio e nella Repubblica Ceca”.
Proprio il Belgio, per Vittorio Guberti rappresenta un esempio emblematico. Qui, nel 2018, la Psa fece la sua comparsa con le stesse modalità registrate a gennaio in Piemonte. «Il Governo investì immediatamente 3 milioni di euro realizzando un capillare sistema di recinzione grazie al quale è riuscito a eradicare la malattia – sottolinea –. La Psa è una malattia che paradossalmente prende per sfinimento. La sua contagiosità non corre veloce, il problema è che non smette mai di correre».
Secondo quanto riportato dal Manuale, "in base all’evoluzione dell’infezione nel cinghiale, si stima che nell’Unione europea siano attualmente interessati 350.000-400.000 km quadrati di territorio, con una popolazione post-riproduttiva, certamente e largamente sottostimata, di oltre 500mila cinghiali coinvolti".

Francesco Feliziani: «Abbiamo di fronte un virus ad alta virulenza». Corsa contro il tempo per ultimare le recinzioni

«I dati statistici elaborati da quando è stata rinvenuta nel gennaio scorso la prima carcassa di cinghiale infetta – afferma Feliziani –, confermano che l’infezione si sta muovendo per contiguità alla velocità di circa 1,5 km la settimana e purtroppo ha superato le barriere autostradali presenti nella zona di restrizione II, inizialmente definita zona infetta. In queste settimane il lavoro del Cerep si è concentrato sul coordinamento di tutta la parte diagnostica, supportando Ministero e regioni nell’implementazione dei necessari sistemi informativi. Ma soprattutto ha studiato il virus rilevato nelle carcasse rinvenute, caratterizzandolo sia da un punto di vista genetico che biologico: la realtà emersa è che si tratta di un virus ad alta virulenza».
Tre le ipotesi di Francesco Feliziani su come l’infezione abbia fatto la sua comparsa in una zona non particolarmente vocata alla suinicoltura, come la Liguria e quella parte specifica del Piemonte: «Non è escluso che la porta di ingresso del virus sia stato il porto di Genova – afferma –, ma anche gli accessi stradali che conducono agli imbarchi o, non va considerata come ipotesi meno probabile, il fattore umano, a causa di scarti alimentari abbandonati dopo eventuali picnic nelle varie località dell’Appennino Ligure».

Recinzioni e biosicurezza rappresentano gli unici baluardi attualmente a disposizione per impedire che la malattia dilaghi. Come stanno procedendo i lavori per le prime?

«Già all’inizio dell’emergenza, quando è stato approntato il progetto delle recinzioni - continua Feliziani -, avevamo fissato la fine di giugno come data ultima per concludere gli interventi. Una deadline che ha una sua ragion d’essere ed è legata al ciclo biologico del cinghiale. Infatti, i piccoli nascono più o meno tra marzo e aprile e fino alla tarda primavera restano per ovvie ragioni vicini alla madre, dalla quale poi crescendo si allontanano, andando ad aumentare il numero di animali, peraltro molto giovani, in circolazione: un fenomeno, questo, che aumenta il pericolo legato a una maggiore diffusione del virus. È un’autentica corsa contro il tempo quella che stiamo combattendo e che ci vede tutti impegnati ai massimi livelli, ognuno per le proprie competenze».

Una corsa contro il tempo dunque, un’autentica sfida.

«Esattamente. Tutte le misure tecniche legate alla diagnosi, alla terapia e alla prognosi di questa malattia sono chiarissime e teoricamente semplici. Ben più difficile è l’approccio applicativo. Questa è la sfida che abbiamo di fronte e che richiede a noi scienziati e operatori il massimo, in termini di impegno e di sforzi, per riuscire a eradicare la malattia nel più breve tempo possibile. Il “tanto peggio, tanto meglio” in questa situazione non può esistere. Alla comparsa del primo caso, a gennaio, la nostra capacità di reagire è stata straordinaria. Oggi dobbiamo vincere sulla resistenza».

Tutto pronto per il congresso a Cremona sulla Psa - Ultima modifica: 2022-04-14T16:37:03+02:00 da Annalisa Scollo

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